Omicidio Pedrazzini, il giudice scarcera i tre familiari: "Non ci sono abbastanza prove"

Per la morte di Giuseppe Pedrazzini erano finiti alla Pulce la moglie, la figlia e il genero: tutti liberi. Appena usciti ipotizzano il complotto: "Dovevamo fare un rogito, ma qualcuno non voleva..."

Le indagini dei carabinieri sul pozzo dove è stato trovato Giuseppe Pierazzini

Le indagini dei carabinieri sul pozzo dove è stato trovato Giuseppe Pierazzini

Reggio Emilia, 17 maggio 2022 - Scarcerati. Tutti e tre. Per il giudice non ci sono, al momento, gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati accusati dell’omicidio di Giuseppe Pedrazzini, il 77enne trovato morto l’11 maggio scorso nel pozzo dell’abitazione di famiglia a Cerrè Marabino di Toano, in Appennino. Ma saranno comunque sottoposti all’obbligo di dimora con firma (la moglie Marta Ghilardini, 63 anni, in un’altra sua casa nella frazione del comune toanese mentre la 37enne figlia Silvia e il genero della vittima Riccardo Guida, 43 anni andranno a Taranto dove hanno una proprietà) su decisione del gip Dario De Luca. Il quale non ha convalidato il fermo giudiziario voluto giovedì scorso dal sostituto procuratore Piera Cristina Giannusa, titolare del fascicolo d’inchiesta e la custodia cautelare.

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Secondo il tribunale di Reggio non sussistono infatti elementi concreti d’indagine per contestare il delitto e neppure il sequestro di persona. Resta però in piedi l’ipotesi della soppressione di cadavere e in virtù di questa è stata infatti applicata comunque la misura restrittiva che prevede la presentazione in caserma. O più semplicemente: non ci sono prove per sostenere rapimento e assassinio, ma potrebbero essere stati i tre familiari a nascondere il corpo.

Un’udienza dagli esiti clamorosi quella di ieri mattina, col verdetto arrivato intorno alle 13. Poco dopo, intorno alle 14,15, i tre indagati escono dalla casa circondariale ‘La Pulce’. Con le buste in mano contenenti i propri effetti personali – dopo quattro giorni di detenzione cautelare – si dirigono a piedi verso la fermata dell’autobus di via Settembrini. Nel tragitto concedono qualche breve dichiarazione ai taccuini. "Mia suocera doveva fare un rogito da 50mila euro. Evidentemente a qualcuno non andava bene…", chiosa Riccardo, lasciando intendere di una sorta di complotto dietro alla loro incriminazione (si tratterebbe di un terreno che Marta stava vendendo per ottenere un po’ di liquidità, date le difficoltà della famiglia coi due coniugi che attualmente non hanno un lavoro remunerativo. Un affare poi bloccato a seguito dell’indagine). La moglie Silvia gli dà manforte, con tono squillante e perentorio promette: "C’è molto altro sotto e verrete a sapere la verità…". La vedova Marta resta in silenzio e non risponde alle domande dei cronisti. Sulla morte di Giuseppe però, con voce tremante, Riccardo è lapidario: "Non ne vogliamo parlare", ma poi si sbottona un po’: "Sono un pacifista. Sono un artista internazionale (fa il musicista, ndr), tutti mi conoscono e sanno che diffondo solo messaggi contro la violenza…". Silvia però lo interrompe e taglia corto: "Chiedete al nostro avvocato".

Il primo ‘match giudiziario’ lo hanno vinto proprio i legali difensori, Ernesto D’Andrea (che tutela Riccardo e Silvia) e Rita Gilioli (che assiste Marta) i quali hanno visto accogliersi le istanze di scarcerazione o in subordine di misure restrittive minori e che dopo l’udienza si presentato insieme davanti ai media. "È il trionfo della giustizia – esulta D’Andrea – Come si fa a parlare di omicidio se ancora non si ha la certezza? Se Pedrazzini fosse morto per cause naturali, avremmo tenuto in carcere tre persone per tutta la durata delle indagini preliminari?". Mettendo i puntini sulle i sulle date: "Il sequestro non sta in piedi, viene contestato dal 9 dicembre 2021 al 30 gennaio 2022, giorno in cui Giuseppe è uscito dall’ospedale di Castelnovo Monti dove era stato ricoverato in seguito a sbandamenti mentali come ricaduta di un ictus avuto in precedenza. Aveva difficoltà a camminare, come dichiarato anche da un testimone della pubblica accusa". Poi risponde a una domanda che tutti si sono fatti: "Perché non hanno denunciato la scomparsa? Fa parte della soggettività di ciascuno di noi. I miei clienti hanno detto di non sentirsi in dovere di fare denuncia. Ognuno ha una sensibilità diversa, magari io dopo un giorno dalla scomparsa avrei denunciato, ma c’è chi invece no". E infine, la stoccata agli altri familiari: "Ma non l’hanno presentata neppure i fratelli e le sorelle che invece sono già corsi in Procura, pronti a costituirsi parte civile…".