Migliari
Una matita che corregge e decora la città. Dagli spazi industriali recuperati delle ex Reggiane, alle alte ciminiere piramidali dell’impianto Forsu, alle ville losangeline che fanno stropicciare gli occhi a Due Maestà, fino alla nuova piazza Gioberti con la sua vasca d’acqua sotto l’obelisco e alla passeggiata estense in viale Umberto I. Sono tutte sue creature. Ma l’architetto Andrea Oliva, 51 anni, jeans sportivo, maglia casual sotto la giacca blazer nera, barba sì ma curatissima, non ha timori nel dire che questa città "manca di visionarietà". E cita la Rimini di Andrea Gnassi per mostrare come "una città può anche osare, a volte sbagliando, ma almeno mostrando un’idea forte e trasformandosi in pochi anni". Eppure è proprio Oliva la firma che sta dietro al più rilevante progetto di recupero degli ultimi decenni in città: le ex Reggiane. È lui ad aver realizzato il Tecnopolo, prima tranche di una corsa a ostacoli per trasformare 250mila mq di spazio industriale abbandonato. "Abbiamo anche disegnato il Capannone 18 e ora stiamo lavorando al 17, sempre se la Pallacanestro Reggiana andrà avanti con il suo progetto di recupero – spiega mentre sfoglia una spessa brochure con i suoi progetti realizzati in città (sono tanti e spesso nascosti, fidatevi...) – Il Capannone 18 doveva essere una sperimentazione, ma poi qui l’abbiamo realizzato davvero. Ed ecco perché adesso ci chiamano ovunque in Europa per presentarlo". All’estero i suoi modelli, e le fotografie prova-provata di come un’idea qui diventi realtà, sono visti come visionari. E a Reggio? "Spesso i progettisti non vengono nemmeno citati quando si inaugurano certi spazi. Noi architetti sa cosa siamo?". Ce lo dica Oliva. "Siamo carne da macello". Argomentare, prego. "Per i privati siamo un punto di passaggio tra psicologia e psicosi. Per il pubblico, siamo un veicolo politico...". E c’è un esempio su come i talenti nostrani (potremmo citare anche lo studio Iotti e Pavarani, tra i tanti) non siano profeti in patria. "Come la chiama lei la stazione dell’Alta Velocità? La stazione di Calatrava. Lei ha mai sentito dire per caso ’Il Capannone Oliva’?". Non è mitomania, ma la toponomastica esterofila che può ferire chi, una volta passati l’Enza e il Secchia, si sente più celebrato che a casa sua. "D’altronde non riguarda solo i reggiani – osserva scorato – Molti nemmeno sanno cosa ha realizzato Italo Rota nei nostri musei. Un vero gioiello". E l’università? "Non ne parliamo, è un luogo chiuso, chiusissimo".
Poca considerazione percepita, però lo stile, quello sì, non si confonde. E in questi mesi sarebbe stato impossibile non notare sorgere, sulla rotonda della provinciale a Due Maestà, una casa che starebbe benissimo aggrappata al terreno asciutto e polveroso delle colline sopra Hollywood. Due blocchi separati come fossero un antico casolare, cotto faccia vista e boiserie lignee, un corpo principale con tetto spiovente e un altro basso e piatto collegato, fronte piscina, appoggiati entrambi su un porticato bianco che abbraccia meccanicamente l’intera costruzione. All’inizio del cantiere, dice lui sornione, "la scambiavano per un granaio o un vivaio". Ma poi ora l’occhio insegue la geometria. "Rendere le case un dispositivo meccanico", è una delle frasi che Oliva usa per descrivere la sua architettura. "Inquadro, poi costruisco. D’altronde io prima ero un perito meccanico". E il primo amore non si scorda mai. Dentro la norma, dettata da lacci e lacciuoli delle leggi urbanistiche, Oliva si muove come un artigiano: "Una volta decidevi cosa costruire e lo realizzavi liberamente. Oggi è la norma a dettare gli spazi d’intervento dell’architetto. Ma questo può diventare un potenziale". Come ha fatto per il nuovo impianto Forsu di Gavassa. "C’erano le ciminiere, ma io ho proposto di ’coprirle’ con elementi piramidali". E così ora svettano sull’autostrada (poco prima della stazione di Cala... della Mediopadana, sorry). Oppure nel Tecnopolo, vincolato per il suo valore storico: "Dentro abbiamo usato il legno perché è reversibile. Un domani, si potrà smontare e ricomporre come si vuole. E poi abbiamo giocato col fattore di scala. In questo modo siamo stati rispettosi della storia del luogo, senza sacrificare il presente". Ciò che spera Oliva oggi, che si dice persino pronto a smettere, è che quel coraggio mostrato alle Reggiane contagi tutta la città. "E’ un appello il mio", evidenzia annuendo. Per far sì che sia l’architettura contemporanea a colmare quel vuoto di turismo che ci fa arretrare di fianco ai nostri vicini ex ducati. E infine un consiglio di lettura: Guida di architettura contemporanea, di Rinaldi-Teggi-Zanichelli, Corsiero Editore. Un bignami di primizie più o meno conosciute della nostra provincia, per avere uno sguardo più curioso su ciò che sorge attorno a noi.