Omicidio Juana Cecilia a Reggio Emilia, stalker condannato a 29 anni e tre mesi

La pm Pantani elenca le “16 menzogne di Mirko Genco” e chiede l’ergastolo. L’avvocato difensore: “L’assassino non è un mostro”. Riconosciute le attenuanti generiche

Reggio Emilia, 3 marzo 2023 – Condannato a 29 anni e 3 mesi in primo grado. È questa la conclusione del processo in Corte d’Assise per il femminicidio di Juana Cecilia Hazana Loayza, avvenuto per mano del suo stalker Mirko Genco. A Genco sono state riconosciute le attenuanti generiche. Le “sedici menzogne” di Mirko Genco sono il cuore della requisitoria che la pm Mariarita Pantani, titolare delle indagini sull’omicidio di Juana Cecilia Hazana Loayza, ha elencato stamattina in aula. La pm ha chiesto ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi.

L’udienza sul femminicidio di via Patti, “uno dei più efferati della nostra provincia”, come ha sottolineato lo stesso magistrato, è ancora in corso e dopo aver ascoltato i periti psichiatrici delle parti, è toccato appunto alla procura prendere la parola.

“Non è un processo in cui si discute di un amore. E neppure di un uomo tradito. Lui ha posto in atto uno dei femmincidi più efferati della nostra provincia. Ha mentito 16 volte per finalità utilitaristiche – ha attaccato la Pantani – Non è vero che Juana Cecilia quella notte voleva un approccio sessuale con lui. Lei gli scrisse: 'Mi spiace, non posso ricostruire da capo con uno come te’. 

Non è vero il movente che lui era venuto a Reggio per redimere Juana Cecilia che aveva lasciato da solo il bimbo. Lei aveva lasciato il figlio dalla nonna. È l'ennesimo tentativo mistificatorio. Un amico di Genco ha riferito che lui, una settimana prima della morte, vide un film su femminicidio e disse: 'È un po' come Cecilia. Se la prendo l'ammazzo’. 

L’avvocato difensore: “L’assassino non è un mostro”

L'avvocato difensore Alessandra Bonini: "L'assassino è un uomo, non un mostro". Ha ripercorso la sua storia di abbandono da parte dei genitori, i trascorsi in comunità. E i tanti messaggi scambiati tra lui e la vittima a sfondo sessuale e le richieste di soldi di lei, a cui lui diceva no e lei minacciava di lasciarlo. Ha domandato le attenuanti generiche per la confessione resa tre ore dopo l'arresto, la sua personalità e comportamento processuale.

Per l'omicidio e le evasioni contestate a Genco ha chiesto alla Corte di applicare la pena più congrua, per le accuse di rapina e furto (delle chiavi prese dalla vittima e del coltello rubato in casa) l'assoluzione ('il fatto non sussiste o non costituisce reato'). Per la violenza sessuale ha domandato l'assoluzione sostenendo che il primo rapporto con Juana Ceciliq fosse consenziente e che del secondo non vi sia prova ('Ne ha parlato solo lui e il medico legale ha riferito solo di lesioni compatibili').

In aula sono presenti la madre della vittima 'Dina', venuta dal Perù e che ora abita a Reggio e accoglie il nipotino, nato dalla relazione di Juana Cecilia con un altro uomo, ed è costituita parte civile. Oltre a due sorelle della giovane uccisa, Carmen e Rosaria, che sono arrivate in Italia dal Perù tre mesi fa: 'Speriamo nella sentenza più severa perché non si ripeta più con altre donne'. La Corte d’Assise, presieduta dal giudice Cristina Beretti, a latere Giovanni Ghini, si è ritirata in camera di consiglio ed  ha emesso la sentenza alle 20 di stasera.