Omicidio Juana Cecilia, Mirko Genco: "L’ho uccisa perché era uscita di casa"

Mirko Genco, l’assassino di Juana Cecilia , parla in aula con al collo un rosario e stringendo croci nelle dita: "Aveva lasciato suo figlio da solo"

Reggio Emilia, 28 ottobre 2022 - Sono le 14.07 in punto quando Mirko Genco si siede al banco dei testimoni. Il 26enne, residente a Parma, ma detenuto nel carcere di Modena, è l’imputato, reo confesso, dell’omicidio della giovane Juana Cecilia Hazana Loayza, avvenuto nella notte tra il 19 e il 20 di novembre del 2021. Ieri, nell’aula di Corte d’Assise del tribunale di via Paterlini – presieduta dal giudice Cristina Beretti, a latere Giovanni Ghini e i giudici popolari – si è tenuto l’esame dell’imputato, che deve rispondere di omicidio volontario aggravato e violenza sessuale (oltre a tutta un’altra serie di reati).

Mirko Genco in tribunale e nel riquadro Juana Cecilia
Mirko Genco in tribunale e nel riquadro Juana Cecilia

Maglione color granata a collo alto, con un rosario blu/azzurro ben visibile al collo, occhiale trasparente ‘in stile Rayban’ e almeno 4 anelli due dei quali con altri due rosari – uno in legno – che facevano da ‘pendagli’, ha iniziato a rispondere al sostituto procuratore Maria Rita Pantani.

Il centro di tutto è la notte dell’omicidio e la ricostruzione che ne fa l’imputato. Con quella foto di Juana Cecilia postata su Instagram che ha ‘svegliato’ il demone nella testa di Genco: "Ero in camera mia ad ascoltare musica. Poi, verso le 23 ho visto quella foto. Quella non era la Cecilia che conoscevo io". Genco ammette di essersi arrabbiato nel vedere Juana Cecilia ritratta in compagnia di amici in un bar nel centro di Reggio a divertirsi: "Non doveva uscire e lasciare suo figlio da solo".

L’imputato racconta alla Corte di essere andato in stazione e di aver bevuto due birre. Treni non ne passavano a quell’ora, quindi ha optato per un taxi che lo avrebbe portato in centro a Reggio. La richiesta ad un passante per le indicazioni del bar dove si trovava Juana Cecilia ed eccolo lì davanti a lei. Altro punto di ‘scontro’ col pm su quando è iniziata la registrazione sul cellulare di Genco e, soprattutto, perché.

"Perché dopo quel giorno avevo deciso che non l’avrei più sentita. Che quella non era più la donna che avevo conosciuto". Versione differente rispetto a quanto dichiarato nell’immediatezza dei fatti.

E poi si arriva a "quattro metri da casa sua". Nel parco della Polveriera. Con Juana Cecilia, ubriaca come accertato, che "mi mette la lingua in bocca". Un primo rapporto che avviene in quel momento ma poi Juana Cecilia dice alcune cose che fanno scattare in Genco "l’istinto omicida", come afferma lui stesso. Le mette le mani al collo per strozzarla, e la butta a terra cadendo a pancia in su. "In che condizioni era Cecilia?" domanda la Pantani. "Farfugliava", risponde Genco.

"Ho provato a darle degli schiaffi, per risvegliarla. Pensavo fosse in preda alla sbornia… Non mi stavo rendendo conto di quello che stavo facendo".

Poi l’ha violentata. "Sembrava svenuta". Una volta finito, "l’ho rivestita, le ho preso le chiavi e sono salito in casa". A prendere il coltello che avrebbe utilizzato per sferrare un fendente al collo di Juana Cecilia e così ucciderla. E dopo? "Ho lasciato lì il coltello e le chiavi e sono andato via". Dove? "In via Turri. A una fontanella a lavarmi le mani sporche di sangue. Lì ho pensato a suicidarmi". Un particolare mai emerso dai precedenti interrogatori. "Ho visto il grattacielo più alto in via Turri ed ho pensato di farla finita". Invece, è tornato in stazione e poi di nuovo a Parma a casa dei nonni. E poi nuovamente a Reggio. "Ho aspettato in un bar che arrivassero le 7 per andare in ufficio e poi svolgere la mia giornata di lavoro".

Poche ore dopo Genco sarebbe stato fermato da svariate auto dei carabinieri a San Prospero Strinati. Sono le 15.42. L’esame del pm di Genco termina qui.