"Operata, ma l’ernia non c’era". Medico e ospedale condannati a Reggio Emilia

Il calvario di una donna di 53 anni: risarcimento di 32mila euro

Reggio, l'ospedale Santa Maria Nuova (Artioli)

Reggio, l'ospedale Santa Maria Nuova (Artioli)

Reggio Emilia, 11 ottobre 2016 - Zoppicava, aveva un continuo formicolio alla gamba e al piede sinistro. E un dolore insopportabile. Così, il chirurgo le consigliò di essere operata per rimuovere l’ernia. Andò sotto i ferri il 19 marzo 2009 al Santa Maria Nuova. Peccato che, dicono i medici che la visiteranno successivamente, non solo «non c’era necessità di un intervento», ma non c’era neppure l’ernia.

È una storia incredibile quella che vede protagonista una donna reggiana di 53 anni e che ha portato il chirurgo e l’arcispedale ad essere condannati, in solido, a risarcirle le sofferenze patite: 32mila euro in tutto, che forse non basteranno, per quello sbaglio, per il «danno permanente» causato anche dalla lacerazione di una membrana («con fuoriuscita del liquor») durante l’intervento che non avrebbe mai dovuto essere eseguito e anche per quel dolore durato due anni (fino a un altro intervento riparatore).

Due anni di fitte lancinanti per Anna (la chiameremo così per tutelare la sua riservatezza), costretta a letto, imbottita di antidolorifici e di morfina. Due anni in cui ha perso quasi tutti i denti. Con la vita sospesa.

La donna «a seguito di forti dolori alla colonna vertebrale e alla gamba sinistra giungeva all’ospedale Santa Maria Nuova dove veniva sottoposta a una visita specialistica», si legge nell’atto di citazione. Il medico-chirurgo «diagnosticava un’ernia al disco L4 L5 che doveva essere immediatamente rimossa onda evitare una paralisi totale e in data 19 marzo 2009 si procedeva con l’intervento chirurgico».

Purtroppo, «nonostante l’intervento, il dolore non diminuiva, anzi aumentava, tant’è che la signora nel corso dei due anni seguenti è stata costretta ad assumere notevoli quantità di farmaci antidolorifici (a base di morfina e cortisone) ed a sottoporsi all’innesto di un catetere al fianco sinistro», prosegue il documento.

Per riparare a quei danni, due anni dopo, Anna si è sottoposta a un altro intervento, questa volta all’ospedale di Ferrara.

Per questo – assistita dall’avvocato Federico Mosti – dopo aver chiesto il risarcimento danni all’ospedale «e non aver ottenuto risposta», si è rivolta al tribunale e ha citato il chirurgo e il Santa Maria in giudizio in una causa civile, perché «responsabili in solido del danno arrecato».

La sentenza, che le dà ragione, è di poche settimane fa ed è firmata dal giudice Chiara Zompì.

«L’esame effettuato il 22 dicembre 2008 (quindi precedente all’operazione, ndr) non evidenziava alcun aspetto compatibile con la presenza di ernia», mette nero su bianco il perito incaricato dal tribunale. «È pertanto ravvisabile errore terapeutico consistito nell’errata indicazione chirurgica», insiste il medico legale.

Non solo. Durante l’atto operatorio si è verificata anche una lesione della dura madre (la parte più esterna e più spessa delle tre meningi, le membrane che avvolgono l’encefalo e il midollo spinale).

«Nel caso in esame l’errore di indicazione chirurgica ha condotto a un peggioramento del quadro algico della paziente a seguito dell’intervento del marzo 2009, con necessità di sedute di terapia del dolore protratte nel tempo e successivo intervento chirurgico di stabilizzazione vertebrale, assumendo valenza causale del danno riportato dalla paziente», prosegue il perito. I postumi «dovuti all’errore di indicazione chirurgica determinano un danno biologico permanente del 5%».

Il giudice, quindi, ha condannato l’azienda ospedaliera e il medico (difesi dall’avvocato Franco Mazza) a risarcirle circa 32mila euro: oltre 17mila euro di danni non patrimoniali, poi interessi, spese legali e consulenze.