P38 Gang, le indagini passano tutte a Torino

I fascicoli sulla band con brani rap e riferimenti alle Br sono stati trasferiti da Reggio e Bologna al capoluogo piemontese

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Una vicenda che si sta diffondendo a macchia d’olio. Ora da Reggio l’inchiesta sulla band P38–La Gang è passata a Torino, dove sono confluiti sia i fascicoli reggiani, sia quelli raccolti dalla Procura di Bologna. Vengono così coordinate le indagini sui quattro componenti del gruppo che il primo maggio si è esibito al circolo Arci Tunnel (ma la band era già stata protagonisti di concerti in tutta Italia), proponendo brani trap con riferimenti alle Brigate Rosse. I quattro sono stati identificati e denunciati per istigazione a delinquere.

La Procura di Torino ha aperto le indagini sulla band a causa di un concerto realizzato a Pescara il 25 aprile. Proprio da qui potrebbe essere partita la prima vera segnalazione sul gruppo agli organi competenti. Dopo l’esibizione, infatti, i componenti erano stati denunciati per apologia di reato dalla Digos di Pescara grazie all’esposto del figlio di una vittima di terrorismo, Bruno D’Alfonso, figlio del carabiniere ucciso dalle Brigate Rosse il 5 giugno 1975 nello scontro a fuoco alla cascina Spiotta per la liberazione dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia.

Sarà l’evoluzione dell’inchiesta a decidere se il procedimento verrà gestito a Torino in caso si trattasse di reato maggiore o se, per l’attribuzione di altri reati, si procederà presso il tribunale di Pescara.

Per il momento dei quattro artisti indagati si sa ancora poco per fare delle ipotesi. Ma secondo quanto scoperto dagli inquirenti sarebbero tutti di origini salentine, vivrebbero stabilmente tra Bologna e provincia e non si tratterebbe di personaggi già noti alle cronache o di attivisti di gruppi politici. Tuttavia i giovani apparterebbero ad ambienti dell’antagonismo di sinistra più radicale. Intanto procede anche la raccolta fondi lanciata on-line dalla band per sostenere le spese legali, arrivata a quasi 6mila euro sui 10mila richiesti. Forti di questo i quattro si dichiarano pronti a subire un eventuale processo: "Non vogliamo fuggire dalle conseguenze delle nostre azioni. Vogliamo affrontarle sapendo di non essere soli".

Rosaria Napodano