"Quelle lamette non sono mai esistite, ma se anche ci fossero state non è giustificabile la condotta dei poliziotti". A dirlo è Michele Passione, avvocato del garante nazionale dei detenuti che si è costituito parte civile nel processo che vede imputati dieci agenti della polizia penitenziaria per l’accusa di tortura e lesioni nei confronti di un 40enne detenuto tunisino nel carcere di Reggio nell’aprile 2023. Tutto documentato dalle telecamere di sorveglianza, con un video che venne diffuso dall’Ansa.
Ieri mattina, nell’ambito del processo, è stato ascoltato in udienza un comandante della polizia penitenziaria, non imputato, come persona informata sui fatti. In particolare riguardo alle relazioni – contestate come false – compilate da due vice-ispettori che riportarono a verbale la presenza di alcune lamette trovate addosso al detenuto. Un rinvenimento che secondo le tesi difensive, portò all’uso della forza da parte dei secondini. Una bagarre giudiziaria che si protrae da diverse udienze.
Il comandante, durante l’audizione, ha spiegato di non essere in servizio all’epoca dei fatti e che ha ‘ereditato’ la documentazione da inviare poi come informativa alla Procura. Gli è stato chiesto conto di dove fossero state portate le lamette e lui ha risposto che, dall’interlocuzione con l’ufficio comando, ha dedotto che sarebbero state smaltite. Uno dei due viceispettori imputati già sentito nelle scorse udienza aveva detto di aver sentito da un collega la presenza delle lamette, mentre l’altro sarebbe dovuto essere ascoltato oggi. Ma la sua testimonianza è stata rinviata all’11 novembre quando verranno anche depositati agli atti i carteggi delle relazioni. Il 25 novembre è in programma la discussione con parola a pm e parti civili con la visione in aula del video. Il 9 dicembre toccherà alle difese per le repliche. La sentenza potrebbe slittare al 2025.
La pm titolare del fascicolo d’inchiesta Maria Rita Pantani contesta agli imputati di aver incappucciato con una federa stretta al collo, sgambettato, denudato e picchiato con calci e pugni, anche quando era in terra, e calpestato il detenuto tunisino. Nella seconda fase del pestaggio il detenuto fu portato in cella, nuovamente picchiato e lasciato nudo dalla cintola in giù per oltre un’ora, malgrado nel frattempo si fosse ferito e sanguinasse. Quello che avvenne è documentato dai video delle telecamere interne del carcere, agli atti dell’inchiesta.
dan. p.