Il pm della Dda Beatrice Ronchi ha chiesto la condanna per tutti e quattro gli imputati nel processo sul presunto pestaggio a sfondo mafioso avvenuto nel carcere della Dozza a Bologna ai danni di un detenuto, Francesco Madonna, oggi 51enne. Per quel fatto, datato 15 marzo 2015, ieri il pm ha domandato 2 anni e 6 mesi, comprensivi dello sconto di un terzo, per Sergio Bolognino (nato nel 1968, ora detenuto a Rovigo) e Gianluigi Sarcone (1971, ora in carcere a Viterbo), entrambi condannati per mafia nel processo ‘Aemilia’: ieri, in extremis, i due calabresi hanno scelto l’abbreviato, possibilità data dal fatto che nella scorsa udienza il pm ha modificato il capo di imputazione. Per i campani Mario Temperato (classe 1970, detenuto a Parma) ed Enrico Palummo (1987, in carcere a Rovigo), ritenuti vicini alla camorra, che hanno preferito proseguire col rito ordinario, il pm ha chiesto 4 anni. La Regione, costituita parte civile, ha chiesto una provvisionale di 20mila euro. Davanti al collegio presieduto dal giudice Luigi Tirone, i quattro uomini devono rispondere di violenza privata e lesioni aggravate dal metodo mafioso.
Secondo la Dda, Madonna, che era lo ‘spesino’ – incaricato di fare acquisti per i compagni di carcere – avrebbe mancato di rispetto alle gerarchie mafiose dentro la Dozza: così Temperato e Palummo lo avrebbero picchiato in cella su ordine dei due calabresi. In aula Madonna ha negato le botte e ha detto confusamente che le sue ferite erano dovute a una caduta accidentale o al fatto che gli erano piombati alcuni cestini in testa; tutti gli imputati hanno negato gli addebiti. Il pm Ronchi ha ripercorso l’interrogatorio che Giuseppe Giglio, collaboratore di giustizia, rese il 28 giugno 2016 nel carcere di Sollicciano (Firenze), quando raccontò che vi era la possibilità di far entrare nel penitenziario cellulari e droga attraverso la polizia penitenziaria: da qui scaturì l’inchiesta ‘Reticolo’, condotta dai carabinieri del Ros, che vide poi due agenti penitenziari condannati. Giglio riferì che, dieci giorni dopo il suo arrivo alla Dozza, fu Bolognino a prospettargli la possibilità di avere un telefonino, e che bisognava passare "dai campani", descrivendo Sarcone come punto di riferimento di calabresi e napoletani. E che scorse "zio e nipote campani" mentre portavano Madonna in cella, che uscì poi con graffi sul viso. Il pentito di mafia riconobbe i campani in Temperato e Palummo tramite fotografie e fornì altri elementi per la loro presunta identificazione. Secondo Giglio, "un campano gli raccontò di aver fatto un’estorsione a un medico di una clinica modenese, che non lo aveva denunciato - riferisce il pm - ma la cui condotta emerse da intercettazioni".
Il caso fu dapprima ricollegato dai carabinieri a un arresto di qualche anno prima riguardante Temperato, dopo la denuncia sporta nel marzo 2009 da un ginecologo con ambulatorio a Campogalliano: fatto per il quale nel 2014 Temperato fu condannato dal tribunale di Modena e poi fu assolto in Appello nel 2018. Giglio aveva però parlato di un dottore che non aveva denunciato, ma poi emerse il secondo caso di un urologo in servizio a Modena: "Individuato dalle intercettazioni, il dottore fu sentito a sommarie informazioni testimoniali nel 2010, confermando le ripetute consegne di denaro a Temperato, di cui aveva detto di aver paura anche per averlo visto armato, riservandosi di fare denuncia". Pure stavolta il primo giudice nel 2014 condannò Temperato, poi l’Appello lo assolse nel 2018. Il pm cita le parole del tribunale di primo grado: "Il disinteresse del medico è addirittura eclatante: la sua vicenda emerse casualmente durante le intercettazioni nell’inchiesta per l’altro dottore".