Po in secca 2022, nel Grande Fiume con poca acqua: "Quelle golene piene di sabbia"

Il Reportage con le testimonianze di chi vive sul Grande Fiume e che ci racconta come una siccità così non si era mai vista prima. Da 120 giorni si aspetta la pioggia: forse arriverà nelle prossime ore

Reggio Emilia, 29 marzo 2022 - Una festa immobile. Le poltrone in pelle color avorio della motonave Stradivari sono tirate a lucido. La radica alle pareti levigata e brillante. E poi i tavoli ordinati, come un’orchestra muta in attesa del ’La’. Ma il capitano Giuliano Landini, lupo di fiume da 60 anni, è costretto a tenere i motori spenti da mesi. "Sul Po non si naviga più, prima il lockdown e poi una secca che non si era mai vista", scuote il capo mentre impugna il timone. La sua motonave, simbolo mobile del Grande Fiume, un tempo trasportava turisti da Cremona fino a Venezia decine di volte l’anno, danzando tra canali e golene. "Speriamo che piova tanto va là...", sdrammatizza sbirciando le previsioni meteo dei prossimi giorni, che finalmente mostrano cielo coperto e tante gocce.

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Lui che per quarant’anni ha lavorato per l’Agenzia interregionale del fiume Po (Aipo) sa bene cosa significhi pregare per un po’ di acqua. "Ma tre metri e sessanta sotto il livello zero in marzo non li avevo mai visti". E infatti aveva 10 anni e rotti quando si registrò l’ultimo inverno così siccitoso. Era il 1972. "Di solito così in basso ci si arriva ad agosto, quando fa caldo e non piove mai", racconta sgranando gli occhi davanti ai piloni del ponte tra Boretto (Reggio Emilia) e Viadana (Mantova), completamente scoperti dopo questi 120 giorni senza pioggia, ora ghermiti da un groviglio di tronchi e rami. Nella vicina isola degli Internati, a Gualtieri, è persino riemersa una chiatta della Seconda Guerra Mondiale, rimasta sott’acqua per 70 anni.

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"E pensare che, anche in secca così, il Po ha una portanza sette volte superiore alla Senna. Eppure in Francia hanno costruito le chiuse e ci navigano tutto l’anno, mentre qui dovevamo farne cinque e ne abbiamo realizzata solo una tra Cremona e Piacenza". E le altre quattro? "Se il Po avesse una squadra di avvocati, sai quanta gente in galera...".

Così ogni anno il fiume riversa in mare milioni di metri cubi d’acqua che si potrebbero conservare per l’agricoltura e per navigare, trasportando uomini e merci. Se lo ricorda bene Romano Gialdini, 82 anni, cosa significava ’economia fluviale’ decenni fa. Lui è l’ultimo di una dinastia di pontieri, che governando 60 chiatte mobili rendeva attraversabile l’alveo del fiume dalla riva reggiana a quella mantovana. "Prima di me mio padre e ancor prima mio nonno, dal 1866 fino agli anni ’60 del Novecento". Dietro la casa dove lui è nato, in piena golena, c’era una grande spiaggia e un canale immenso. "Qui dove stiamo ora c’erano sempre almeno 3 metri d’acqua", ci indica alle sue spalle. I più anziani come lui si ricordano ancora la colonia elioterapica di Guastalla. C’erano le cabine bianche dove cambiarsi, il carretto dei gelati, un intero paese in festa.

I relitti all'Isola degli Internati
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"E quanta acqua ho visto passare di qui... Ora il Po, col cambiamento climatico, si comporta come un torrente: quando piove, viene giù a rotoli!". Ed è così che sulla parete del Museo dei Pontieri, dove sono segnate le piene più alte a memoria d’uomo, quella che svetta è del 2000. Volgendo lo sguardo all’argine attuale, secco e sabbioso, non ci si crede. "Una volta l’acqua arrivava spesso nelle golene, la terra l’assorbiva e intanto i pesci si riproducevano. C’erano i ’gatti’, le anguille, le lasche... Adesso le golene sono ricoperte di sabbia. E quelle poche volte che c’è piena, l’acqua non scende più".

Il letto del Po si è ristretto e in pochi decenni ha scavato per più di 5 metri in profondità. Così, quando sale, impenna verso l’alto senza espandersi nelle valli. "E noi cosa facciamo? Estraiamo l’acqua dal Po per mandarla verso la collina, invece che creare delle casse d’espansione negli emissari e mantenere l’acqua a monte", scuote il capo indicando gli escavatori, intenti a cercare quel rivolo sorgivo seppellito sulle coste del Po, da poi aspirare con le pompe. "L’acqua è vita, va conservata". Gli effetti della dispersione di questo oro liquido si vedono anche nel Delta. Ferrara è una provincia agricola, dove il Consorzio di bonifica locale gestisce più di 260mila ettari di terre da irrigare. Stefano Calderoni è il giovane presidente e per dimostrare cosa significhi ’secca’ scende tra i rovi di una lingua di terra a Pontelagoscuro. "Ecco – esordisce con i piedi sulla sabbia – qui normalmente a marzo dovremmo farci il bagno". Dietro di lui è comparsa un’isola di terra e arena, "ma non dovrebbe esserci". Gli effetti per l’agricoltura sono devastanti: "Fino a giugno, secondo i nostri calcoli, avremo acqua da pompare. Poi dovremo scegliere: o la diamo alle persone, o all’agricoltura". L’aut aut è drammatico.

"Si sta verificando quello che si chiama ’cuneo salino’. È quando il livello del Po è talmente basso che nelle valli del Delta entra l’acqua di mare, che uccide le colture e rende i terreni aridi. Così perdiamo fragole, pere e mele nei nostri vivai, che tra l’altro davano lavoro anche d’inverno". Un intero ecosistema in apnea da 120 giorni, con lo spiraglio di qualche pioggia d’aprile per rifocillarsi un po’. Ma basterà?