"Preghiamo per la pace in russo e ucraino"

Una trentina di fedeli ortodossi ieri mattina nella chiesa di San Zenone. La liturgia dedicata al popolo che ora si trova in guerra

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di Sofia Martino

Una luce fende obliqua la navata della chiesa di San Zenone quando Dmytro Yurii inizia la liturgia della pace. Un presagio luminoso di pace che accende il buio da Est a Ovest. Sono le 10 di mattina e nel tempio dedicato al rito ortodosso si celebra una messa per l’Ucraina. La cerimonia di sempre, ma con un pensiero speciale dedicato alle vittime della guerra. Dmytro Yurii, il pope, accoglie tutti con estrema gentilezza ed ospitalità spiegando che "questa liturgia è uguale, come ogni domenica, non cambia nulla. Solo che aggiungiamo una preghiera per l’Ucraina. Oggi in particolare chiediamo a Dio di aiutare il popolo ucraino". Si guarda intorno, la chiesa è piccola ma accogliente, e commenta: "Vedo che anche oggi abbiamo una media di 20-30 persone presenti".

Alla domanda come si pone di fronte all’odierna situazione in Ucraina, Dmytro preferisce scindere l’autorità civile da quella religiosa: "Come sacerdote non giudico nulla, prego solo che Dio metta tutto in ordine. Come persona invece è un’altra storia ma non mi esprimo", conclude abbozzando un sorriso. Si sente invece di insistere sulla promozione di un messaggio di pace che accomuni tutti i popoli, quando ormai ogni senso di umanità e coesione sta venendo a mancare. Egli infatti spiega che "la nostra chiesa è di tutti e per tutti. È una chiesa ecumenica che raduna russi, bielorussi, georgiani, ucraini, lituani per questo si celebra la messa in più lingue in contemporanea, italiano incluso".

Un senso di legame che investe la chiesa per intero: in un ambiente intimo e sfarzoso, porpora ed oro ad ornare gli interni, la comunità di fedeli si stringe in un forte abbraccio di solidarietà verso l’Ucraina dispiegando la bandiera blu e gialla sull’altare.

La liturgia è quasi interamente cantata. C’è chi va e chi viene. La maggior parte donne. Alcune di loro non riescono a contenere il pianto. Altre si perdono nella ritualità: c’è chi si inginocchia e bacia il pavimento. Una, due volte. Altre ancora si recano in autonomia al tavolo delle offerte vicino l’ingresso elargendo somme di denaro a sostegno della chiesa. Alcune accendono invece sottili candele dorate stringendole tra le mani.

Il dolore nell’aria impregnata d’incenso. Una sofferenza che accomuna tutti i presenti: si fatica a condividere ad alta voce la propria solidarietà per l’Ucraina. Solo Maia, georgiana, prova ad esprimersi per conto della comunità ortodossa: "Questa liturgia è per noi fondamentale, ci permette di essere forti, di avere lo spirito giusto per vivere, lavorare e ringraziare voi italiani per il lavoro che fate per noi". Quindi ricorda: "Questa guerra non è una novità: noi, in Georgia, la abbiamo vissuta già nel 2008, era agosto. Il protocollo è lo stesso di oggi con l’Ucraina: vogliamo la libertà, essendo ex-sovietici, e Putin si sente in dovere di attaccare ed entrare in guerra. Il 20% del nostro territorio è occupato da lui, viviamo nella paura da sempre". Un’altra donna georgiana ripercorre in lacrime la medesima storia: "Nel 2008 la Russia ci bombardava ed ora è uguale. Rivedere tutto questo è una tragedia".

Sofia Martino