Premio Oscar, Bertolazzi: "Al Chierici dicevano che non ero adatto"

Ospite ad Albinea: "Entrai al teatro Valli e la mia vita cambiò"

Il maestro del make up attorniato dalle atlete dello Skating club Albinea

Il maestro del make up attorniato dalle atlete dello Skating club Albinea

Reggio Emilia, 12 marzo 2017 - «In una fase della candidatura all’Oscar, l’Academy volle sapere da me quale fosse l’insegnamento più importante che avevo appreso nella mia vita e l’insegnamento che avrei voluto trasmettere agli altri. Ho risposto: nel primo caso onestà e condivisione, Nel secondo, onestà e condivisione».

Alessandro Bertolazzi - premio Oscar per il miglior trucco e acconciatura nel film di David Ayer, «Suicide Squad», all’89esima edizione degli Academy Awards - è tornato nella sua Albinea e nella sua Reggio per condividere quel premio arrivato passo dopo passo, partendo da Reggio per approdare a Los Angeles. 

Unica statuetta andata a un artista italiano, quest’anno. Ad accoglierlo ieri insieme alla sua famiglia, nella casa municipale, il sindaco di Albinea Nico Giberti, che ha voluto donargli una preziosa boccetta di aceto balsamico tradizionale, prodotto dall’acetaia comunale, e un libro fotografico con i più bei scorci albinetani. Alessandro Bertolazzi, con la sua statuetta d’oro sempre tra le mani e senza mai perdere di vista mamma Laura, si è concesso ai tanti che hanno voluto salutarlo e ringraziarlo, non si è sottratto a sorridenti selfie e ha risposto ad ogni domanda con la semplicità di cui sono capaci soltanto i grandi artisti e le grandi persone.  Alessandro Bertolazzi è nato a Casanova Elvo di Vercelli, il 16 febbraio 1958. La mamma Laura è di Montericco, e insieme al marito Giorgio vive ad Albinea da quando i figli Alessandro e Stefano erano adolescenti. 

«Sono felice di essere tornato a casa – ha detto – questo premio è anche vostro. Tra Albinea e Reggio ho trascorso la mia adolescenza. Di Albinea mi mancano il gelato e ‘il’ gnocco. Come ho iniziato? Frequentavo il Chierici, gli insegnanti dicevano a mia mamma che non ero adatto, e non avevo buoni risultati. Un giorno passando davanti al Municipale, avevo sedici anni, vidi un volantino dove si diceva che il teatro cercava delle comparse. Entrai e la mia vita di colpo cambiò. Mi trovai in un luogo magico, da cui non volevo più uscire. Mi offersi di fare qualsiasi cosa pur di stare lì, perfino le pulizie. Poi pian piano arrivai a occuparmi delle macchine e delle scenografie, fino a quando mi capitò l’occasione di andare a Roma: un trampolino per il cinema. Poi Londra, fino ad attraversare l’oceano e arrivare all’America ». Una dedica coraggiosa, nella notte degli Oscar: «La dedica ai migranti mi è venuta spontanea perché io lavoro insieme a persone che arrivano da ogni parte della terra. Io stesso sono un cittadino del mondo. E più ci penso più sono contento di quello che ho detto. Il cinema è sogno. E ai sogni non si possono mettere barriere e muri. Certo non pensavo di scatenare tutto questo clamore».