Quelle tracce lasciate dal conflitto ’15-’18

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di Mariagiuseppina Bo

Trine di immagini di natura come pizzi e magiche foreste, che fanno dimenticare la guerra, l’orrore, il dolore, esposte accanto a rovine, luoghi dimenticati, che di quella distruzione sono il ritratto. Queste le foto di angoli di città di: “Bellum” di Carlo Valsecchi, progetto artistico realizzato per Collezione Maramotti per FotografiaEuropea (I Maggio31 luglio). Mai arte è stata più profetica e attuale: qui la I guerra mondiale si specchia in quella di oggi. Sono 44 le foto di Bellum e 20 in esposizione, raccontano il conflitto tra uomo e natura, tra uomo e uomo, come le immagini che ogni giorno scorrono davanti ai nostri occhi. Non c’è differenza nella distruzione disumana delle guerre.

Il progetto nasce dall’esplorazione dei territori e delle costruzioni fortificate del nord-est italiano del primo conflitto mondiale. Cosa resta di quel paesaggio? Quali sono le tracce del patto che l’umanità aveva stretto con la natura? In tre anni di lavoro Valsecchi ha percorso quelle montagne con il suo banco ottico, dall’inverno alla primavera, ascoltando quei luoghi per affacciarsi sull’abisso di un conflitto cieco, sublimando nei suoi scatti una realtà cruda, spesso astratta, intimamente estetica e assoluta nella sua essenza. Le immagini di Bellum diventano squarci, portali fatti di luce e composizione, sospesi in un tempo senza termine tra silenzio, isolamento e attesa. Stretti passaggi e cunicoli, trincee abitate da corpi perduti e rinata vegetazione, interstizi e fenditure, cavità rocciose, lacerazioni interne e interiori, forti militari e i loro resti.

Sono sipari tra la realtà presente e un indefinibile oltre, un orizzonte negato, rifugio e luoghi di morte, piattaforme di artiglieria, cupole metalliche, grotte e pareti bruciate da centinaia di esplosioni, riconquistate da muschi e concrezioni organiche e minerali, segnate dall’umidità, boschi evanescenti velati dalla nebbia o dall’aria fitta della neve.

La natura diviene architettura, si antropomorfizza, ed intorno risuonano silenziosi i cicli della natura e lo scorrere del tempo, il lento processo di mutamento e di cancellazione del passaggio dell’uomo e dei suoi segni sulla terra. Con la mostra è pubblicato un libro omonimo con testi di Florian Ebner, curatore capo del Cabinet de la Photographie del Centre Pompidou di Parigi, e Yehuda E. Safran, critico d’arte e di architettura e professore al Pratt Institute di New York.

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