Reggio Emilia, un’altra Saman in aula: "Mio padre mi minacciò ‘ti lavo con l’acido’"

Una ragazza tunisina racconta in aula il dramma della sua adolescenza: "Mi costringevano a seguire una religione in cui non credevo". A poca distanza da lei la madre si mette a piangere

La ragazza e i genitori di spalle

La ragazza e i genitori di spalle

Reggio Emilia, 18 maggio 2023 – Lei voleva vivere in modo libero, secondo le abitudini occidentali e senza sottostare alle restrizioni imposte dai genitori. Ha sostenuto di essere stata picchiata per dieci anni dal padre e minacciata di morte, mentre sua madre interveniva solo nei casi più gravi, "ma accettava la situazione". Lei, una 21enne di origine tunisina (proprio ieri il suo compleanno), è scappata di casa, li ha denunciati e si è costruita una vita fuori dalle mura domestiche. A materializzarsi in tribunale sembra un’altra Saman Abbas, con il suo stesso coraggio di ribellarsi.

Ieri, durante la prima udienza del processo che vede imputati i genitori per maltrattamenti, la giovane si è seduta al banco dei testimoni. È una ragazza minuta, con lunghi capelli sciolti: indossa una maglietta, jeans aderenti e stivaletti. Parla un italiano perfetto e appare disinvolta. In prima fila, accanto all’avvocato difensore Domenico Noris Bucchi, ci sono papà e mamma originari della Tunisia. Lei stessa li ha accusati e poi si è costituita parte civile attraverso l’avvocato Gianluca Tirelli: chiede loro di pagarle i danni. La Corte dei giudici - presieduta da Cristina Beretti, a latere Giovanni Ghini e Silvia Semprini - le domanda se preferisce parlare protetta dal paravento, ma lei declina: "No, grazie. Nessun problema". E poi, a un paio di metri di distanza dai genitori, senza mai guardarli negli occhi, inizia a rispondere al pubblico ministero Marco Marano, titolare dell’inchiesta, e poi alle altre parti.

“Ho subito anni di violenze fisiche e psicologiche. Mi obbligavano a seguire una religione che non volevo. Poi, nell’ottobre 2020, ho deciso di andarmene da casa". Riferisce che le vessazioni iniziano quando lei ha 9 anni: "Mio padre mi picchiava usando talvolta anche cinture e bastoni. Le discussioni avvenivano per la religione o per i miei comportamenti. Io non credevo ma ero obbligata a seguire l’Islam e a rispettare il Ramadan". Parla delle restrizioni: "Non potevo indossare magliette scollate o gonne corte. Mi seguivano, non potevo vedere i miei conoscenti maschi perché è un peccato o andare a dormire dalle mie amiche". Si sofferma su un episodio: "Un giorno ero seduta al bar ad Albinea con un amico maschio: mio padre mi prelevò e mi portò a casa insultandomi". Parla di offese ricevute più volte: "Sei una poco di buono, non meriti di stare al mondo". La giovane rimane con loro fino all’ottobre 2020, poi si trasferisce da un collega: "Scappai di casa prendendo poche cose: ero in lacrime, lo chiamai e lui mi ospitò subito". Dice di essere andata ad Ancona e poi a Verona nel gennaio 2021 a casa di una giovane madre: "Lei mi invitò a riavvicinarmi a loro. Dopo qualche mese abbiamo avuto un confronto e i miei sono venuti lì. Ma poi la mia amica ha capito che dicevo il vero: loro si sono distaccati di nuovo e mi chiamavano con insistenza dicendo che mi avrebbero denunciata".

Infine parla di una pesante minaccia telefonica dal padre: "Tornerò a trovarti e ti laverò la faccia con l’acido muriatico". Lui si presentò anche a Reggio al posto di lavoro: "Cercò di picchiarmi e, davanti al titolare, mi disse: ‘Ti uccido’". Il pm le chiede se ha ancora ripercussioni: "Durante l’adolescenza piangevo in casa. Gli altri genitori mi dicevano che avrebbero voluto una figlia come me. Tuttora mi porto dentro certe cose: sto lavorando su me stessa per migliorare". Oggi vive nella nostra provincia e ha trovato un lavoro. A un certo punto, la madre, in prima fila, estrae un fazzoletto e si asciuga le lacrime. Lei è tanto vicina ma molto lontana: "I miei genitori non li vedo e non li sento più. Pure mio fratello, che ha 18 anni, veniva picchiato, ma lui non ha mai voluto dirlo. A nessuno ho mai voluto raccontare per paura di ciò che potesse capitare. Mi pento di non aver sporto denuncia prima".