Secondo l’accusa, un impiegato di un patronato attivo a Reggio avrebbe chiesto indebitamente denaro a cittadini ucraini fuggiti dal loro Paese in guerra. Il reato contestato verso il 27enne di origine ghanese, cresciuto nella nostra città, è quello di concorso di persona in concussione. Ma ieri mattina il ragazzo, difeso dagli avvocati Vainer Burani e Alessandro Occhinegro, ha spiegato la sua versione dei fatti durante l’udienza di convalida d’arresto, davanti al giudice Dario De Luca e al sostituto procuratore Valetina Salvi. "Io facevo soltanto quello che mi dicevano di fare", ha raccontato visibilmente spaventato. L’avvocato Occhinegro, che ha presentato l’istanza per chiedere la revoca degli arresti domiciliari, ricostruisce così la dichiarazione spontanea dell’indagato: "Lui si sente totalmente estraneo e ha spiegato in modo molto chiaro quello che era il proprio lavoro da dipendente, specificando che non ha mai intascato denaro ma tutto quello che veniva raccolto era poi inserito in un registro del patronato".
Il ventisettenne ha spiegato che i profughi ucraini entravano nell’ufficio del patronato chiedendo come poter richiedere l’asilo. E lui doveva chiedere i loro documenti e una quota da inserire nella cassa del patronato e da registrare nell’apposito registro, per le tessere. Alla domanda sul perché non venisse rilasciata fattura, ha spiegato che quella transazione non veniva fatturata perché "non era il suo compito – prosegue l’avvocato Occhinegro, che vorrebbe la messa in libertà o in subordine l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria come misura cautelare – Il mio assistito ha 27 anni e lavora in questo ufficio dalla fine del 2019. I fatti contestati riguardano il 2022. Ha anche specificato di non aver mai lavorato con i richiedenti asilo prima di questa vicenda. Si tratta di un ragazzo perfettametne integrato, che fa volontariato con una associazione ghanese ed è un fedele di una chiesa anglicana". Il giudice si è riservato e nei prossimi giorni deciderà se revocare o meno la misura.