Razzoli e gli impianti sci chiusi: "Lo stop andava detto prima"

Il campione olimpico da Cortina contro il governo: "La decisione non doveva essere presa la sera prima. Comunque sia il nostro Appennino risorgerà, se aiutato"

Giuliano Razzoli, nato a Villa Minozzo, è il simbolo dello sci appenninico

Giuliano Razzoli, nato a Villa Minozzo, è il simbolo dello sci appenninico

Reggio Emilia, 17 febbraio 2021 - ​"Le nostre montagne risorgeranno. Ma avranno bisogno, e alla sua gente dovrà essere dato da chi se ne dovrà fare carico, di molto aiuto". Non ha dubbi Giuliano Razzoli, fiore all’occhiello dello sci appenninico, medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Vancouver del 2010. Impegnato nella preparazione all’imminente slalom dei Mondiali di Cortina, in calendario domenica, l’atleta di Razzolo di Villa Minozzo ha commentato il recente provvedimento del ministro della Sanità, Roberto Speranza, che ha chiuso i battenti degli impianti sciistici nonostante le numerose promesse di riapertura. Particolare non da poco, lo stesso ’Razzo’ è stato colpito dal Covid, sia pure in forma lieve.

La rabbia delle Regioni e in Piemonte c'è chi apre

image Lei non è solo un campione dello sci, è anche un testimonial delle vette dell’appennino. Cosa pensa dell’ultimo atto del ministro Speranza? "Dal punto di vista umano ed economico è un vero e proprio disastro per l’economia montana, che già di suo non naviga nell’oro. E lo è soprattutto per le tante famiglie che vivono di questo". La ragione è sempre quella: i timori per la diffusione del Covid. "Entrare nel merito di questa decisione è chiaramente complesso e la salute deve venire prima di tutto. Però bisogna dire che la tempistica non è stata il massimo". Era tutto pronto per la riapertura e la decisione è stata presa la sera prima. "Sì, prescrivere la chiusura la sera prima, quando era stato assicurato che si riapriva, ha penalizzato ulteriormente gli addetti ai lavori che già vivevano una situazione difficile".

image Lei che conosce bene le realtà di tutta la Regione, ritiene soffriranno di più per questa situazione le stazioni reggiane o quelle modenesi? "Ogni stazione ha la sua peculiarità. Il Cimone, per esempio, è una stazione bellissima, ha diverse piste e numeri migliori di altre, ma vive comunque una realtà molto complessa. Sui monti del reggiano la situazione è ancora più difficile". Per quale motivo? "Sono impianti più piccoli, che già l’annata scorsa hanno sofferto per via della poca neve. Per questo la botta del Covid è davvero grossa, anche perché, pur essendo valide realtà, Febbio e il Cerreto non sono paragonabili a località alpine storiche che hanno le spalle larghe per sopportare tutto. Non sarà facile riprendersi, ma ce la faranno". Lo crede? "La cosa importante è che intanto, sia nel modenese che nel reggiano, le stazioni riescano a sopravvivere, così come tutto l’indotto che vi ruota intorno. Io ho fiducia perché noi montanari emiliani abbiamo carattere, tanta forza e l’abitudine alle tribolazioni. Risorgeremo, ma occorrerà da parte delle istituzioni tanto aiuto economico".