ELIA BIAVARDI
Cronaca

Referendum, parla la Cgil: "Con Renzi un fallimento. E temiamo il ‘silenzio’"

Cristian Sesena: "Avremmo preferito il partito del ‘No’ a questa campagna". Sui quesiti: "Dieci anni dopo quella riforma i giovani continuano a essere precari".

Cristian Sesena, segretario generale della Cgil di Reggio Emilia

Cristian Sesena, segretario generale della Cgil di Reggio Emilia

L’8 e 9 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque quesiti referendari. Quattro riguardano il mondo del lavoro: tutele contro i licenziamenti, contratti a termine, sicurezza negli appalti. Per capire meglio il senso e gli obiettivi di questa iniziativa, ne abbiamo parlato con Cristian Sesena, segretario generale di Cgil Reggio.

Perché la Cgil ha deciso di promuovere proprio questi temi? C’è una visione comune che li tiene insieme?

"Lo abbiamo fatto perché da 25 anni la politica non ascolta più le mobilitazioni, gli scioperi, le proposte del sindacato. Si sono succeduti governi di ogni colore, ma nessuno ha davvero messo al centro la lotta alla precarietà. Da qui la raccolta firme – quasi 100.000 solo nella nostra provincia – e la proposta di quattro quesiti uniti da un obiettivo preciso: rendere il lavoro più sicuro, stabile e dignitoso".

Entrando nel merito dei contenuti, uno dei quesiti punta a ripristinare il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Qual è il problema dell’attuale sistema introdotto con il Jobs Act?

"Il problema è l’ingiustizia di fondo. Due lavoratori che fanno lo stesso mestiere possono avere tutele diverse solo in base alla data di assunzione. E non è accettabile che, anche dopo una sentenza favorevole, un lavoratore ingiustamente licenziato non possa riottenere il proprio posto. Il reintegro avrebbe anche una funzione deterrente contro i licenziamenti facili".

In questi anni si è detto spesso che il Jobs Act avrebbe favorito l’occupazione, specie quella giovanile.

"Non c’è stata alcuna crescita occupazionale significativa, men che meno tra i giovani. Ricordiamo che la retorica renziana ci accusava di difendere solo i ‘vecchi’, ma dieci anni dopo i giovani continuano a vivere nella precarietà o scelgono di cercare un futuro all’estero".

Anche le piccole imprese sono coinvolte da uno dei quesiti, in particolare per quanto riguarda i risarcimenti in caso di licenziamento illegittimo. Cosa non funziona oggi?

"Nelle piccole imprese non è mai esistita la possibilità di reintegrare il lavoratore, solo un indennizzo economico. Ma perdere il lavoro in una realtà più piccola danneggia forse meno la dignità di una persona? È giusto che un giudice possa stabilire un risarcimento più equo, proporzionato al danno subito, e non limitato a sei mensilità".

Parliamo dei contratti a termine. Eliminare la possibilità di assunzione senza causale per i primi 12 mesi non rischia di ostacolare la flessibilità richiesta da alcune aziende, specie nei settori stagionali?

"Questo problema non esiste. Chiedere di indicare una causale non comporta costi aggiuntivi per le imprese, ma serve a evitare abusi. E poi, la stagionalità è già regolata dai contratti collettivi: nessun settore verrebbe penalizzato. Quello che vogliamo evitare è la pratica sistematica di sostituire lavoratori ogni 12 mesi con altri precari".

Un altro punto cruciale riguarda gli appalti. Come migliorerebbe le condizioni dei lavoratori il rafforzamento della responsabilità solidale tra committente e appaltatore?

"In Italia muoiono tre persone al giorno per infortuni sul lavoro, e tante di queste muoiono ’di appalto‘. La deregolamentazione ha creato una giungla, dove a volte si risparmia sulla pelle dei lavoratori. Ripristinare la responsabilità solidale significa costringere il committente a scegliere appaltatori che rispettino le norme. E, in caso di incidente, permette di rivalersi anche sull’azienda più grande, che di solito ha più risorse per un risarcimento. Come è successo nel caso della strage di Campi Bisenzio, con Esselunga".

Quanto temete l’effetto astensione, considerato il mancato appoggio del governo?

"Più dell’astensione, temo il ’comitato del silenzio’ che ha preso il posto di un confronto democratico. Avrei preferito un “comitato del no”, almeno ci sarebbe stato un dibattito. Invece assistiamo a inviti all’astensione, anche da parte di figure istituzionali come la seconda carica dello Stato. E questo in un momento in cui la partecipazione democratica è già in crisi. È indecente. Ogni giorno che passa sento crescere la consapevolezza fra le persone dell’importanza di questo voto, che è anche uno snodo non banale per il futuro. In ballo c’è la scelta di un nuovo modello sociale antitetico a quello della destra".