Reggio Emilia, 4 agosto 2024 – Esistono lavori che gli italiani non sono più disposti a fare. Specialmente se riguardano il ‘dietro le quinte’ della ristorazione, più che il lavoro in sala. Di recente l’intervista rilasciata al Carlino da Carlotta Bertolini, reggiana e titolare della birreria Keller di Modena, ha scatenato un putiferio sui social. "Voglio usare il mio locale per fare integrazione" ha detto la 47enne, raccontando di aver trovato più disponibilità e ‘fame di lavoro’ da parte degli immigrati che degli italiani; affermazioni che le sono valse una mole di insulti e minacce.
Ascoltando l’opinione dell’imprenditore Luca Pirruccio, però, la voce di Bertolini non suona così fuori dal coro. Sette locali tra Reggio, Montecavolo e Scandiano, per un totale di oltre cento dipendenti: il colosso della catena di pizzerie Pirru è cresciuto in modo esponenziale, così come le difficoltà nel trovare personale.
Pirruccio, lei che ne pensa?
"Io personalmente sto facendo esperienza con dei pizzaioli originari del Pakistan e del Bangladesh. Quello che vedo è che lavorano a testa bassa, poche chiacchiere e niente pause a guardare il cellulare. Danno soddisfazione. Forse fanno fatica a comunicare, certo, ma può essere anche una questione di mentalità".
Cosa intende?
"Voglio dire che un immigrato ha un approccio diverso al lavoro. L’italiano medio sa di non essere ‘di passaggio’, mentre una persona immigrata magari pensa solo a guadagnare il più possibile per un certo numero di anni, in modo da aiutare la famiglia. Sanno che sono qua principalmente per quello e appena trovano una realtà che gli dà una regolarità contrattuale, come la mia, danno il massimo".
Qualcuno potrebbe dire che in realtà, sotto sotto, vengono sfruttati.
"Non esiste, per me lo standard sono le retribuzioni previste dal contratto nazionale".
Gli italiani invece?
"L’italiano il lavapiatti non lo vuole fare. Dal Covid in poi, in generale, tanti professionisti del settore hanno preferito andare a fare altro a parità di stipendio, un 70-80% del personale si è perso di botto. Per la cucina spesso si poteva attingere dagli istituti alberghieri, ma anche lì certe figure si sono perse per strada".
In particolare i giovani, come si approcciano a questo mestiere?
"Per quello che vedo io, si propongono, ma poi ad esempio dicono di non voler lavorare il sabato e la domenica… Credo che siano troppo tutelati dalle famiglie e abbiano perso lo spirito del sacrificio e della tradizione".
In che senso?
"Un tempo c’era la nonna che ti insegnava a cucinare un piatto o anche a fare una semplice faccenda domestica, oggi la maggior parte dei giovani non sa nemmeno da dove cominciare. E vedere un tutorial online non è la stessa cosa".
Bertolini ha affermato di aver avuto a bilancio 23mila euro di periodi di prova, andati buttati. Lei?
"Farei quasi a cambio, perché io ho speso ben di più per le prove. Ormai ho l’impressione di avere una scuola di formazione. Appena qualcuno inizia a diventare bravino va via anche per 50, 100 euro in più; altri invece fanno attivare il contratto e poi non si presentano neanche".