
Giovanni Tondo, comandante della stazione di San Polo, a 46 anni lascia il parquet. "Sono alto due metri, iniziai 20 anni fa quasi per caso"
D’ora in poi sarà solo maresciallo capo. Giovanni Tondo, 46 anni, comandante della stazione dei carabinieri di San Polo, per circa vent’anni è stato una colonna portante della Sampolese Basket ma ora ha detto stop. "Sono arrivato alla stazione dei carabinieri di San Polo nel luglio del 2005 - dice Tondo - e, appena sceso dalla macchina, il mio comandante, il luogotenente Magnarelli, vide che ero alto due metri. Così mi ha mandato a giocare a basket nella Sampolese. È iniziato tutto così per coincidenza".
Quindi vent’anni giusti con la maglia di San Polo?
"In realtà, c’è stato un tradimento - ride - ho giocato per un anno in C1 a Scandiano. Si sono alternati anni eccezionali ad anni mediocri sportivamente parlando. Invece, ogni gruppo mi ha lasciato qualcosa di fantastico. Le due esperienze più belle sono state le due promozioni, ma in particolare quella del 2007, al mio secondo anno. Abbiamo vinto la finale al PalaBigi, c’era tutto il paese che tifava ed eravamo un gruppo giovane e unito che condivideva anche la vita privata al di fuori del basket. Le due retrocessioni invece sono i ricordi amari insieme all’ultima partita perché capisci che è finita la carriera cestistica".
Quando hai iniziato a giocare a basket?
"Tardissimo, a 18 anni. Giocavo a calcio con modestissimi risultati, ma ero due metri con un 47 di piede quindi mi sono spostato sul basket e mi sono trovato a giocare in serie C a Lecce anche se mancavano i fondamentali, un deficit che mi sono portato avanti tutta la carriera. Diciamo che sono stato un pessimo giocatore di pallacanestro ma con il fisico che compensava questa carenza".
Meglio la divisa da carabiniere o quella da basket?
"Entrambe importanti. Credo tanto nel mio ruolo istituzionale, sento la responsabilità, ma anche lo sport ha un ruolo educativo e in campo cercavo di dare esempio ai più giovani. In tanti anni, mi è capitato di giocare con diverse persone e ritrovare i loro figli in squadra a distanza di tempo. Ad oggi i ragazzi mollano davanti alle prime difficoltà, invece volevo sempre dare un segnale anche a loro, anzi ancora oggi non sono convinto di smettere. Quindi diciamo che sotto la divisa da carabiniere ho quella della Sampolese".
Mai avuto problemi col doppio ruolo cestista-maresciallo?
"Sono il primo a scherzarci sopra all’interno degli spogliatoio, ma tutti i compagni hanno sempre saputo distinguere le due figure. In alcuni casi, tanti amici anche fuori dal basket hanno sempre rispettato la mia posizione, a volte dando un tono scherzoso chiamandomi ’sciallo’ per abbreviare maresciallo".
Questo doppio ruolo però è valso la chiamata in Nazionale!
"È stato il punto più alto della mia misera carriera cestistica. Ho partecipato a due edizioni del torneo di Shape in Belgio delle nazionali militari, l’Italia era composta da atleti provenienti da Aeronautica, Marina, Carabinieri ed Esercito. Ho fatto raduni al centro nazionale di Vigna di Valle e giocato contro gente fortissima ma il ricordo più bello sono le iniziative collegate: uscivamo dalel base miliatare per andare nelle scuole e visitare le comunità italiane ed era sempre una grande festa".
Quali emozioni ha provato al momento del ritiro della maglia?
"Ero all’oscuro di tutto, mia moglie Silvia ha passato di nascosto ai miei compagni la maglia ed è stato organizzato questo momento. Da anni a maggio dicevo che avrei smesso, stavolta ci hanno pensato i più giovani a ritirare la mia maglia e farmi capire che era ora che mi togliessi di mezzo! Ho lasciato le chiavi dello spogliatoio al mio compagno di squadra Hasa ’Il Sultano’ Sulejman".
E in famiglia cosa dicono?
"Con mia moglie stiamo insieme da 28 anni, da quando eravamo ragazzini e siamo sposati da 15, la devo ringraziare perché mi ha sempre supportato. Poi ho due figli, uno gioca a calcio nella Reggiana mentre il piccolo a basket a San Polo: ho un ricordo particolare di quando mi è venuto ad abbracciare alla fine della mia ultima partita, sono emozioni familiari che solo lo sport può regalare".
Però lei non è l’unico Tondo che ha lasciato il segno dalle nostre parti.
"La prima sportiva che ha colonizzato Reggio è stata mia sorella che ha giocato a pallavolo in B1 a Cavriago, io sono stato il "reggiano" più longevo, mentre mio fratello è il vero atleta della famiglia, ha giocato a pallavolo a Reggio in A2 da capitano. Quest’anno a Brescia ha vinto la Coppa Italia. Però quando giochiamo a basket le prende sempre".
Cesare Corbelli