Reggio Emilia, sacchetti a pagamento in farmacia. "Ma a noi costano di più"

Bertolini: "Cifra simbolica, a disposizione anche una sporta in tela"

Sacchetti bio in farmacia a pagamento

Sacchetti bio in farmacia a pagamento

Reggio Emilia, 11 gennaio 2018 - Continua a fare rumore la legge – introdotta dal primo dell’anno – che ha introdotto l’obbligo di pagamento dei sacchetti biodegradabili. Non solo al supermercato, ma anche in farmacia dove costano 0,2 cent. «Anche noi ci siamo adeguati alla normativa – illustra Giuliana Bertolini, responsabile negozi di Farmacie Riunite Comunali –. Siamo d’accordo con la riduzione della plastica e dunque col principio di legge, sulla decisione di metterli a pagamento non commentiamo. Abbiamo così applicato il codice a barre ai nostri sacchetti che facciamo pagare due centesimi. Si tratta di un costo simbolico, noi li paghiamo di più. Devo dire che non abbiamo sentito lamentele da parte della clientela».

Rispetto ai supermercati dove l’utilizzo delle borsine nel reparto frutta e verdura è obbligatorio, così com’è vietato introdurre sacchetti da casa, in farmacia si può avere libera scelta. «I nostri farmacisti sono tenuti a chiedere al cliente se voglia o meno la borsina. Abbiamo affisso un cartello per informare sulla normativa. Ma da noi è ammesso portare da casa una sportina, tanti ne utilizzano una di tela riutilizzabile col nostro logo che avevamo distribuito tempo fa. Oppure semplicemente mettere il farmaco comprato all’interno della propria borsa o in tasca oppure portarla via in mano», continua la dottoressa Bertolini. Infine precisa: «Per questione di privacy, avvolgiamo determinati farmaci con una carta affinché all’esterno non si veda il tipo. Questo tipo d’involucro non è mai stato, e mai lo sarà, soggetto a pagamento. Stiamo comunque studiando una modalità particolare sul tema delle borsine a pagamento».

Intanto sulla battaglia ai sacchetti bio, il Codacons dell’Emilia-Romagna lancia un’azione collettiva in favore dei consumatori. Secondo l’associazione infatti, tutti coloro che hanno pagato lo «shopper» pur avendo acquistato ortofrutta sfusa, possono denunciare il venditore. «Siamo a favore di qualsiasi provvedimento a favore dell’ambiente – chiosa il presidente Carlo Rienzi –. Ma la questione assomiglia più ad una truffa legalizzata che a una misura contro l’inquinamento. Non può essere imposto all’utente il pagamento della borsina, anche nel caso in cui il consumatore acquisti beni sfusi, attaccando lo scontrino direttamente sul prodotto ortofrutticolo pesato. Da oggi mettiamo a disposizione dei cittadini una denuncia-querela attraverso la quale si chiede alle autorità competenti controlli e verifiche alla luce della possibile truffa ai sensi dell’articolo 640 del codice penale. Intimiamo inoltre di permettere ai consumatori di introdurre nei punti vendita sacchetti riutilizzabili».

d. p.