Saman Abbas, il cugino: "Giurammo sul Corano di tacere per sempre"

Ikram Ijaz pianse e si sfogò in cella con un connazionale, raccontando tutto. "L’abbiamo uccisa, poi abbiamo bruciato i vestiti"

Saman Abbas e il cugino Ikram Ijaz

Saman Abbas e il cugino Ikram Ijaz

Reggio Emilia, 30 settembre 2022 - "Tutta la famiglia ha fatto un accordo, tipo giuramento sul Corano, di non rivelare mai l’omicidio e le modalità di esecuzione, che riguardava tutti i partecipanti e le persone a conoscenza dei fatti".

Aggiornamento Saman e le altre nozze combinate

Nell’ambito dell’inchiesta su Saman Abbas, a raccontarlo, in marzo, alla polizia penitenziaria, è un detenuto, che ha reso dichiarazioni spontanee: lui sostiene di aver appreso alcuni particolari sulla scomparsa della 18enne pakistana di Novellara da un altro carcerato, che avrebbe raccolto uno sfogo direttamente da Ikram Ijaz, cugino della ragazza e uno dei cinque familiari imputati per la sua presunta morte.

"Il detenuto mi ha raccontato che una sera Ijaz, guardando un articolo di giornale sulla scomparsa di Saman, ha iniziato a piangere. Alla domanda sul perché piangesse, visto che non aveva fatto nulla, lui si è confidato, ammettendo di essere stato coinvolto nell’omicidio e di aver partecipato attivamente".

Il peso di queste dichiarazioni dovrà essere ovviamente vagliato nel processo che inizierà in febbraio: la difesa di Ijaz ha fatto sapere in passato che lui si proclama innocente. Il detenuto racconta altri dettagli a lui riferiti: "Poi Ijaz ha ammesso che dopo l’omicidio, per sbarazzarsi dei vestiti usati al momento del fatto, sono andati o a casa di Danish Hasnain (zio della 18enne, imputato, ndr) o del papà di Saman e nella stufa hanno gettato e bruciato gli indumenti, in modo da non lasciare traccia. Per avere conferma - suggerisce l’uomo - immagino che si possa controllare se vi siano ancora resti nelle stufe".

E svela un altro terribile piano di morte che avrebbe coinvolto Ijaz e Hasnain: "I due pakistani hanno anche riferito che devono completare la loro missione uccidendo il fidanzato di Saman".

Da quanto finora emerso, la famiglia della giovane non gradiva che lei si fidanzasse con Ayub Saqib, pakistano che vive in Italia e che Saman conobbe tramite Tik Tok nell’agosto 2020. A fine gennaio 2021 Shabbar Abbas, padre della 18enne, vola in Pakistan, e tre mesi dopo, in aprile, sarà la stessa Saman a spiegare ai carabinieri il motivo: il genitore voleva incontrare i parenti di Saqib, minacciando di uccidere sia loro sia il giovane se lui non avesse interrotto la relazione con la 18enne. "Era accompagnato da altri tre parenti - raccontò - che avevano sparato in aria colpi di arma da fuoco".

Un clima di terrore che promana anche dalla supplica che il detenuto, un connazionale, ha rivolto agli inquirenti: "Chiedo che il mio nome non venga mai fuori. Le famiglie che ho citato sono molto potenti in Pakistan: potrebbero vendicarsi per quello che ho raccontato sia su di me sia sulla mia famiglia".

In una successiva dichiarazione, il detenuto si sofferma in modo molto dettagliato su quanto avrebbe appreso sulla dinamica della presunta esecuzione di Saman: "Ijaz ha bloccato le gambe della ragazza, mentre Hasnain l’ha soffocata insieme all’altro familiare attualmente in Spagna (poi estradato, ndr) , Nomanulhaq Nomanulhaq. Subito dopo l’omicidio hanno avvolto il corpo in un sacco di plastica, tipo quella usata per le serre, e messa su una bici. Poi si sono incamminati verso un canale che hanno attraversato, con l’acqua che arrivava fino al petto. Una volta usciti dall’acqua, Nomanulhaq teneva il cadavere e Ijaz la bici". Dice che poi, arrivati sul posto, Ijaz è tornato a casa e sarebbe subentrato un altro patente di Saman di cui fa il nome e che non è imputato.

"Quest’ultimo, Danish e Nomanulhaq hanno fatto a pezzi il corpo e lo hanno gettato chissà dove".

E ribadisce che poi sarebbero tutti tornati a casa e avrebbero bruciato i vestiti indossati "per evitare che le forze di polizia trovassero tracce di sangue della povera Saman".

Il pm Laura Galli ha poi ordinato analisi sul contenuto delle quattro stufe nelle case, da cui non sono emersi resti tessili. Secondo gli inquirenti, dalle dichiarazioni dei detenuti su Ijaz "emergono elementi di possibile verità", ma anche di "criticità".

In sostanza, viene ritenuta credibile l’ammissione di aver partecipato ai fatti, ma non l’attraversamento del canale - perché nei paraggi ci sono ponti - e anche il fatto che poi Ijaz si sarebbe allontanato.