Saman, il messaggio vocale dello zio: ammazzatela prima che scappi di nuovo

Il processo per la morte della ragazza che chiese aiuto ai servizi sociali e venne trasferita in una comunità protetta: “Lì sembrava un’altra persona, vestiva all’occidentale ed era tranquilla”

Reggio Emilia, 31 marzo 2023 - Le richieste d’aiuto di Saman e il dolore di Saqib, fidanzato della ragazza. E, ancora, quella famiglia violenta di cui lei aveva apertamente paura. E quel video con il bacio al fidanzato che scatenò la furia omicida della famiglia. Questi i perni attorno ai quali si è incentrata la prima parte dell'udienza odierna del processo per l’omicidio della 18enne di Novellara (Reggio Emilia). All'apertura del dibattimento la presidente della Corte d'Assise, Cristina Beretti, ha annunciato che la posizione del padre Shabbar Abbas è stata di nuovo separata da quella degli altri quatto imputati. L'uomo si trova detenuto in carcere in Pakistan in attesa dell'esito della procedura per la sua estradizione.

Durante l'udienza hanno poi parlato il maresciallo dei carabinieri che ha raccolto la prima denuncia di Saqib, fidanzato di Saman e Federica Beggi, assistente sociale di Novellara che per prima ha incontrato Saman ancora minorenne e ne ha gestito l'affido alla comunità bolognese a cui era stata indirizzata dopo il suo allontanamento dalla casa famigliare. Beggi, per prima, ricevette la confidenza di Saman sulla volontà dei genitori di farla sposare a un cugino in Pakistan. I servizi sociali, dunque, erano al corrente del fatto che la ragazza si sentisse in pericolo.

Il vocale di uno zio: ammazzatela

"Il 5 maggio 2021 riuscii a contattare il fidanzato Saqib il quale mi disse di essere preoccupato per Saman, che non riusciva più a contattare dalla sera del 30 aprile (note nella quale venne in effetti uccisa, ndr). Nella stessa conversazione il ragazzo mi disse di essere in possesso di una foto di Saman con delle lesioni sul volto e di un messaggio vocale di uno zio di Saman in cui diceva: “Prima che scappa di nuovo ammazzatela”: questa la testimonianza di una delle assistenti sociali che preso in cura Saman.

Per il padre posizione separata in tribunale

Per Shabbar Abbas, dunque, di nuovo posizione separata da quella degli altri quattro imputati nel processo in corso a Reggio Emilia: Danish Hasnain, Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, zio e cugini di Saman, e la madre della ragazza Nazia Shaheen che è l'unica latitante.

Martedì scorso nell'udienza di estradizione che si è svolta in Pakistan l'uomo non si è presentato e nemmeno ha chiesto di partecipare all'udienza di oggi nonostante l'avvocato Simone Servillo avesse assicurato la sua volontà di essere parte del processo.

Il legale aveva detto ai giudici, il 17 marzo scorso, di avere ricevuto una mail dal collega pakistano che assiste Shamman nel suo Paese dalla quale emergeva la "chiara volontà" di essere coinvolto nel procedimento italiano.

Dopo la comunicazione della giudice, è iniziato l'ascolto di alcuni testimoni dell'accusa, nell'udienza dibattimentale iniziata oggi per l'omicidio della giovane. 

Saman rinata al sicuro

Nell'aula del processo l'assistente sociale Federica Beggi che, su incarico dal Tribunale dei minorenni di Bologna, seguì Saman nel periodo seguito al suo primo allontanamento volontario dalla casa dove viveva coi genitori e il fratello, ha raccontato che nella comunità di Bologna dove venne portata nel novembre del 2020 Saman fece capire in modo molto chiaro di non voler praticare la preghiera e le usanze musulmane.

Saman venne inserita nella struttura protetta dopo che parlò alla testimone del matrimonio forzato a cui sarebbe stata obbligata "con un cugino molto più grande di lei in Pakistan". "Il giorno dopo che venne portata in comunità, Saman sembrava un'altra persona rispetto alla ragazza che 24 ore prima avevo visto nel mio ufficio quando mi raccontò delle nozze combinate. Andai in comunità per vedere la ragazza e parlare con la coordinatrice della comunità. Il giorno prima indossava i vestiti classici della sua cultura: pantalone, maglia lunga e velo. In comunità invece aveva i lunghi capelli sciolti, una magliettina nera e i jeans. Era, insomma, vestita all'occidentale. Le avevamo spiegato che se avesse voluto praticare la sua religione rispetto alla preghiera e all'alimentazione sarebbe stata super rispettata. Lei mi guardò per dire 'anche no', non le interessava il discorso religioso".

Durante la testimonianza è intervenuta anche l'avvocato di parte civile Barbara Iannuccelli (che rappresenta il fidanzato Saqib assieme al collega Falleti) e ha sollevato il tema del permesso di soggiorno, documenti per cui la ragazza torna a casa nell'aprile del 2021 e troverà la morte. "Lei sapeva che quei documenti erano scaduti nel settembre 2020 e perché non avete fornito a Saman una nuova copia?" L'assistente sociale ha riferito di non essere a conoscenza che il permesso di soggiorno fosse scaduto e che il protocollo, in questi casi, è previsto per i minori non accompagnati.

“Saman aveva paura”

“Ci disse che il padre era capace di tutto, era molto ricco e molto potente in Pakistan. Maltrattata lei e la madre, era capace di lasciarle fuori di casa al freddo e al caldo. Era un uomo violento”, racconta in aula Angela Oliva, assistente sociale dell'Unione Bassa Reggiana, che ha preso in carico Saman una volta divenuta maggiorenne,.

"Ci siamo allarmati - ha detto l'assistente - quando a marzo 2021 abbiamo saputo che il fidanzato Saqib era stato minacciato dal padre di Saman e lo abbiamo riferito alle forze dell'ordine. Saman ci raccontò anche che dopo la sua fuga in Belgio il padre le aveva lanciato un coltello, ferendo alla mano il fratello che si era frapposto per difenderla".

A metà aprile 2021 Saquib le avrebbe anche detto di dire a Saman che lui non avrebbe potuto ospitarla, visto che viveva con altre persone, dunque di non lasciare la comunità di Bologna, altrimenti la loro storia sarebbe finita.

Saman e lo zio

"Lo zio Danish e Saman, da quanto emerge dai documenti in mio possesso, avevano un ottimo rapporto e lui in nessun modo ostacolava il suo processo di occidentalizzazione che era già iniziato", assicura l'avvocato Liborio Cataliotti, difensore di Danish Hasnain, a margine dell'udienza davanti alla Corte d'Assise di Reggio Emilia.

In aula ha poi chiesto all'assistente sociale che per prima si occupò del caso della giovane se lei avesse mai parlato dello zio e la risposta è stata: "No".