Saman Abbas processo, i passaggi dell’orrore: "Mi rassicurò che a casa coi genitori si sentiva tranquilla"

La seconda udienza del processo per il delitto della 18enne pakistana Parla il luogotenente Lufrano che per primo cercò di aiutare la giovane

Saman Abbas, il processo

Saman Abbas, il processo

Reggio Emilia, 18 marzo 2023 – Via alle ricostruzioni investigative dei carabinieri, sentiti come testimoni. E via anche ai primi dubbi espressi dalle difese durante il controesame. Nel processo sull’omicidio della 18enne Saman Abbas a Novellara – sono imputati i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, lo zio Danish Hasnain e i due cugini Ikram Ijaz e Nomanulhaq Nomanulhaq – ieri sono stati ascoltati i primi tre uomini dell’Arma citati dal pm Laura Galli.

Saman Abbas, il processo
Saman Abbas, il processo

Il primo è l’ex comandante della stazione di Novellara, luogotenente Pasqualino Lufrano, che ripercorre l’odissea di Saman tra 2020 e 2021. "Un ragazzo in Belgio chiamò la polizia del suo Paese. Disse che Saman era stata picchiata dal padre. Tramite Interpol arrivò l’allarme in Italia. I carabinieri di Guastalla andarono a casa sua il 28 luglio 2020: lei aveva un segno sul viso. Le chiesero più volte se volesse andare all’ospedale e se volesse denunciare: lei disse no".

Saman Abbas, la difesa del padre: Troppa pressione sul Pakistan”

Riferisce di quando fu contattato da un’assistente sociale: "Saman le aveva scritto che volevano farla sposare con uno più grande di lei. La ragazza diede il consenso per andare in una comunità protetta e le riferì che era disponibile a sporgere querela. Aveva palesato il pericolo di essere portata poco dopo in Pakistan per nozze che lei non voleva. Saman entrò in comunità a Bologna il 13 novembre 2020". Per il mese dopo erano fissata le nozze combinate. Vi furono due informative alla Procura: si indagò per tentativo di costrizione a nozze.

Davanti ai carabinieri di Bologna, il 3 febbraio 2021, fu sentita Saman, che ribadì il suo no a quella nozze. Disse: "Non ho con me i miei documenti. Mio padre dice che ce li ho, ma non è vero". L’11 aprile 2021 Saman tornò a casa. Lei racconterà che la comunità le stava stretta. Ai carabinieri dirà "che voleva riprendere i documenti. A Bologna ho formalizzato denuncia. Voglio denunciare i miei perché li trattengono". Il 22 aprile Lufrano andò a casa sua: "La madre ci fece capire che lei non c’era. La chiamai ad alta voce, la vidi arrivare sul pianerottolo. Allora la madre chiamò il padre di Saman. Dissi che dovevo parlare con lei perché risultava scomparsa. Lui ribattè che ci erano differenze culturali tra Italia e Pakistan, ma io dissi che lei era maggiorenne e che poteva venire da sola in caserma".

Il luogotenente poi chiese a Saman in caserma se le sarebbe piaciuto tornare in una comunità "se noi avessimo trovato i documenti che cercava": "Lei disse sì". Il luogotenente poi dirà che non si sentiva tranquillo per il suo ritorno a casa: "Ma lei mi rassicurò". Lufrano chiese un decreto di perquisizione per trovare i documenti, arrivato il 28 aprile 2021, "ma stavamo aspettando di trovare un luogo dove portarla". Per il 3 maggio fu organizzato un colloquio: "Era necessaria la presenza dei servizi sociali".

Quel giorno Lufrano trovò la casa chiusa. Saman non c’era, il suo Instagram non si muoveva. Il 5 maggio scattarono i controlli: i documenti non c’erano. A casa c’erano Hasnain e il fratello di Saman: "Furono sequestrati i loro telefoni, su entrambi c’erano dialoghi cancellati".

L’avvocato Liborio Cataliotti ha chiesto lumi sulle analisi delle telecamere. Ai giornalisti dirà poi che "c’è un’ora e 14 minuti di scarto tra le telecamere dell’azienda Bartoli, prese per buone senza neppure fare una perizia, e quelle del vicino di casa: se quest’ultimo orario fosse corretto, le ricostruzioni dei fatti sarebbero da rivedere".