Novellara (Reggio Emilia), 30 aprile 2025 – Quattro anni dopo lei non c'è più, uccisa e sepolta a pochi metri da casa, ma da allora è rimasta più viva che mai come simbolo di libertà. Era la mezzanotte del 30 aprile 2021 quando Saman Abbas, 18enne pakistana, sparì per sempre nel buio, dopo essere stata accompagnata dai genitori lungo la stradina bianca davanti all'abitazione nelle campagne di Novellara (Reggio Emilia).

Da quel giorno della giovane si persero le tracce, mentre altri suoi cinque parenti stretti connazionali sparirono a stretto giro dall'azienda agricola Bartoli, dove lavoravano da anni come braccianti.
Ergastolo per tutti in appello
Nei giorni scorsi questi familiari, il padre Shabbar Abbas insieme alla madre Nazia Shaheen, lo zio Danish Hasnain e i cugini Ikram Ijaz e Noman Ul Haq, sono stati tutti ritenuti responsabili dell'omicidio e della soppressione di cadavere nella sentenza emessa a Bologna il 18 aprile dalla Corte d'Assise d'Appello, che ha riconosciuto anche le aggravanti della premeditazione e dei motivi futili e abietti, accogliendo pressoché in toto le richieste avanzate della Procura generale.
Il verdetto, che ha in parte ribaltato quello di primo grado e di cui alcune difese hanno già preannunciato l'impugnazione in Cassazione, è solo l'ultimo approdo di una complessa vicenda sul piano investigativo, giudiziario e anche diplomatico, con ricadute anche nel dibattito pubblico.
La storia di Saman, che si definiva sui social 'italian girl', è diventata emblematica delle difficoltà vissute dai giovani di origine straniera, sospesi nella drammatica scelta fra le tradizioni dei loro Paesi d'origine e lo stile di vita e i valori occidentali.
Prime indagini
I genitori di Saman si imbarcarono per il Pakistan poche ore dopo la sua scomparsa, nella mattina del primo maggio 2021, per poi non fare più rientro a Novellara.

Il 5 maggio i carabinieri suonarono alla casa cercando invano la giovane: incontrarono lo zio Hasnain e Alì Haider, il fratello allora 16enne di Saman, che diedero versioni contrastanti sulle ultime ore in cui la videro. Da qui iniziarono i primi sospetti, acuiti anche dal fatto che lei era già stata seguita dai servizi sociali e dall'Arma per alcune delicate vicende.
La richiesta di aiuto
Saman infatti aveva segnalato nel novembre 2020 alle operatrici dei servizi che sarebbe stata imminente la sua partenza per il Pakistan con un volo, a cui sarebbe stata costretta dai genitori per farle sposare un cugino, con il quale vi era stato nel dicembre 2019 un fidanzamento ufficiale. Nel giugno 2020 lei andò in Belgio per raggiungere un ragazzo afgano conosciuto sui social; il padre segnalò l'allontanamento ai carabinieri e lei rientrò qualche giorno dopo. Nell'ottobre 2020 Saman, sempre a partire da un aggancio sui social, intraprese una relazione con un giovane pakistano residente nel Lazio, Ayub Saqib. Dopo che Saman riferì ai servizi sociali del presunto matrimonio imminente col cugino, fu organizzato nel novembre 2020 l'immediato trasferimento della giovane in una comunità protetta a Bologna e i genitori furono denunciati per l'ipotesi di aver tentato di costringerla alle nozze. In questo periodo lei coltivò la storia con Saqib, allontanandosi talvolta dalla struttura.

Parenti spariti
Nei giorni seguenti al 5 maggio 2021 si allontanarono da Novellara lo zio Hasnain con Alì Haider, raggiunti in seguito dai due cugini. Ma le loro strade poi si divisero: Hasnain e il fratello di Saman furono intercettati dalla polizia a Imperia, dove il primo proseguì il suo viaggio all'estero mentre il 16enne fu affidato a una comunità per minorenni.
Successivamente verranno emessi mandati di cattura per tutti: Ijaz fu arrestato in Francia, a Nimes, a fine maggio 2021; Hasnain nel settembre 2021 a Parigi; Noman Ul Haq a Barcellona nel febbraio 2022.
Per i genitori la procedura fu assai articolata: al culmine di un'attività investigativa e giudiziaria internazionale, che coinvolse anche i governi dei due Paesi e in cui la diplomazia ebbe un ruolo essenziale, il padre Shabbar fu arrestato e poi portato in Italia nell'agosto 2023: è stato il primo caso in cui il Pakistan ha deciso di accordare un'estradizione chiesta dall'Italia. Più rapidi i tempi per la madre Nazia: lei non si oppose, fu presa nel maggio 2024 e portata in Italia nell'agosto scorso.
Ricerche e indagini
Fu attivata nel 2021 un'imponente macchina di ricerca per Saman: in estate furono setacciate le serre di angurie dell'azienda Bartoli e numerosi terreni di Novellara, mentre i carabinieri coordinati dal pubblico ministero Laura Galli avviarono complesse indagini a tutto campo sentendo persone e analizzando le comunicazioni sui cellulari.

Un apporto fondamentale venne poi dato dallo zio Hasnain che nel novembre 2022 fece ritrovare il cadavere di Saman sepolto sotto terra in un podere diroccato vicino alla casa dove lei viveva. L'autopsia avrebbe rivelato in seguito che lei morì per la rottura dell'osso ioide, dovuta a strangolamento.
Il primo processo
Dal febbraio al dicembre 2023 fu celebrato a Reggio il processo davanti alla Corte d'Assise presieduta dal giudice Cristina Beretti, a latere Michela Caputo e membri popolari: diedero l'ergastolo, come chiesto dalla Procura, ai genitori di Saman, ritenuti responsabili, insieme allo zio Hasnain, della morte di Saman.
I due cugini Ijaz e Noman Ul Haq furono assolti e liberati: per loro il procuratore capo Calogero Gaetano Paci e il pm Laura Galli chiesero 26 anni, così come per lo zio Hasnain. Quest'ultimo ebbe 14 anni sia per omicidio sia, l'unico, per soppressione di cadavere. Non furono riconosciute le aggravanti della premeditazione e dei motivi futili e abietti; nel caso dello zio scattò lo sconto di un terzo dovuto alla sua precedente richiesta di rito abbreviato. I giudici di primo grado motivarono la sentenza in 600 pagine, sostenendo che la decisione di uccidere Saman sorse nella tarda sera del 30 aprile 2021 perché lei voleva allontanarsi da casa per l'ennesima volta; che il movente non fu l'opposizione a presunte nozze combinate; che il fratello Haider non era credibile a causa di numerose contraddizioni e che il video del 29 aprile 2021 in cui lo zio e i cugini avevano pale e attrezzi da lavoro non dimostrava che avevano scavato la fossa.
In appello
La sentenza fu impugnata dalla pubblica accusa, dalle difese e dal fratello di Saman. Nel processo di Bologna è stata in parte rinnovata l'istruttoria dibattimentale, risentendo ad esempio Alì Haider non più come teste indagabile (con l'assistenza di un difensore), ma con l'obbligo di dire la verità. Per la prima volta è comparsa in tribunale la madre di Saman che, così come gli altri imputati, ha reso spontanee dichiarazioni: tutti si sono proclamati innocenti, rimpallandosi le responsabilità a vicenda.
Nel pool difensivo figurano gli avvocati Sheila Foti per il padre, Simone Servillo per la madre, Liborio Cataliotti per lo zio, Luigi Scarcella per Noman Ul Haq e Maria Grazia Petrelli per Ijaz. Il sostituto procuratore generale Silvia Marzocchi, affiancata dal pubblico ministero reggiano Maria Rita Pantani, ha domandato l'ergastolo per tutti oltre alle aggravanti.
La Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Domenico Stigliano, ha condannato tutti il 18 aprile per omicidio e soppressione, riconoscendo premeditazione e motivi futili e abietti: ha dato l'ergastolo ai genitori e anche ai cugini, e 22 anni allo zio Hasnain con le aggravanti equivalenti alle generiche già a lui concesse in primo grado; ha inoltre disposto il risarcimento per il fratello di Saman. Le motivazioni sono attese tra 90 giorni.