Versioni concordate da riferire agli inquirenti. Paure. Dialoghi in cui il padre incolpa se stesso. O si cercano di coinvolgere altri due parenti a oggi non imputati. Nelle intercettazioni depositate al processo per la morte di Saman Abbas, la 18enne pakistana uccisa perché si sarebbe opposta alle nozze combinate, compaiono molti dialoghi del fratello minore con i genitori, allora già fuggiti in Pakistan, entrambi finiti a processo, così come lo zio della vittima e i cugini. Il ragazzo, ora maggiorenne, sarà sentito davanti alla Corte d’Assise venerdì prossimo: sarà un momento fondamentale. Un interlocutore, il 4 giugno 2021, un mese dopo la scomparsa di Saman avvenuta il primo maggio, dice al fratello della giovane di aver saputo "che è stata uccisa tua sorella o tua cugina". Il ragazzo precisa che si tratta di Saman, e l’altro insiste per sapere chi sia stato. "Vabbè – è la risposta del fratello –, due cugini e uno zio", dicendo di non poter aggiungere altro. Pochi giorni prima, il 28 maggio 2021, il ragazzo parlava con una zia pakistana, Shamza Batool, che abitava allora vicino a Manchester, cercata dalla polizia inglese e mai trovata. Il fratello di Saman punta il dito contro lo zio Danish Hasnain e due parenti non imputati (Zaman Fakar e Irfan Amjad): "Da oggi non parlerò più con tuo fratello Danish e nemmeno con quel cane che ha i baffi, non parlerò nemmeno con Irfan. Con questi tre non parlerò più, neanche con gli altri due che stanno con loro perché ha fatto tutto lo zio, ha fatto tutto lo zio". La donna gli dice: "Stai zitto". Il ragazzo appare disperato per la pubblicazione delle notizie sulla sua famiglia e dice che si vuole togliere la vita: "Se non c’è più la mia sorella, non dovrò vivere nemmeno io". Chiede che anche un’altra zia ascolti in viva voce: "Se tu devi mantenere i rapporti con tuo fratello allora con me hai finito, va bene?"
A fine maggio 2021 il padre Abbas conversò con il Carlino: "Mia figlia è viva, è in Belgio ospite di un ragazzo". Il 6 giugno Shabbar si raccomandava col figlio: "Non devi dire nessuna cosa di nessun tipo. Tu domani devi dire così, devi dire che si trova in Belgio e parliamo tutti i giorni... Il tuo zio paterno piccolo, Kami o Maan, (cioè i due cugini, ndr) oppure gli altri hanno la colpa in questo? Nessuno ha la colpa. Lei non voleva più vivere lì ed è venuta a prendere i suoi documenti". Parla di "guerra tra Islam e i cristiani". Lo pressa: "Sei un maschio o una femmina? Il cuore è impaurito ma devi diventare un maschio". Il figlio ribadisce la paura: "Papà, piango tutta notte". Il padre cerca di indirizzarlo: "Devi dire loro che tutto quello che hai detto è tutto sbagliato, la tua sorella parla con me tutti i giorni". Il giorno dopo lo incalza anche la madre Nazia Shaheen: "Devi dire che Saman sta bene". Una settimana dopo, il 14 giugno, il padre Abbas cambia tenore. E si autoaccusa: "Figlio mio, hai messo in difficoltà tuo zio. Adesso sai cos’ho pensato, ho pensato di tornare. Arrivato lì, diro che ho fatto tutto io, nessun altro ha colpa". Il figlio: "Ma perché devi venire qua? Perché vuoi incastrarti in tutto questo". Shabbar: "Figlio mio tu hai fatto tutti i nomi, hai detto tutto. Non dovevi dire dello zio Kami o Mani, che colpa hanno loro? La colpa è tutta mia. Nessun altro ha la colpa... Vengo lì anche se mi danno la pena di morte, ormai la mia vita è già finita".