Reggio Emilia, 7 marzo 2025 – È una testimonianza resa con un filo di voce, tra sussurri e lunghe pause, in un italiano stentato. È quella di un ragazzo ancora molto giovane che ha assistito all’omicidio della sorella e che ora ’punta il dito’ contro la sua famiglia. Ali Heider abbassa un po’ la mascherina nera e inizia a parlare da dietro un paravento, alla seconda udienza del processo di appello a Bologna, il fratello della 18enne pachistana uccisa nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 nelle campagne di Novellara. Lo fa con immensa fatica, ma anche con un grande coraggio: si è costituito parte civile perché “vuole giustizia per la sorella” e sa bene che in aula, al di là di quel paravento, ci sono i genitori Shabbar Abbas e Nazia Shaeheen, condannati all’ergastolo in primo grado, lo zio Danish Hasnain (14 anni) e i cugini Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, assolti in primo grado e dunque a piede libero.

Una testimonianza, dunque, “faticosa – le parole del suo avvocato Angelo Russo, a margine dell’udienza –, sta cercando di ricostruire i fatti per capire cos’è successo quella sera. È il processo per l’omicidio della sorella, ha i genitori condannati in primo grado. Di sicuro non è sereno”. Russo precisa però che “quando avrà finito di testimoniare, vorrà assistere all’udienza sedendo vicino a me” per rivedere i suoi genitori. Non li hai più visti da quando sono partiti per il Pakistan”. L’avvocato fa notare che il suo cliente aveva 16 anni quando è successo il fatto, “non ha altri familiari in Italia con cui rapportarsi. Non ha nessuno qui. Vive da solo, in un motel”. Nella deposizione, “sofferta”, il fratello di Saman “sta cercando di ricordare più dettagli possibile. Fa quello che può, racconta quello che ricorda”.
Nonostante le emozioni contrastanti e la difficoltà della lingua, il ragazzo non esita su alcune questioni precise: “Ho visto mio zio che prendeva al collo mia sorella, era tra la seconda e la terza serra”, dice. Le domande si concentrano sul momento in cui Saman uscì di casa, accompagnata inizialmente dai genitori. Lui dalla porta di casa vide quella scena. Fa molta fatica a rispondere, al punto che chiede una pausa, che la Corte accorda. Ripresa l’udienza dopo un quarto d’oro, spiega che a parte lo zio in quel momento “c’erano i cugini. Ho visto solo la loro faccia”, dice, confermando le dichiarazioni fatte in primo grado. “Se glieli faccio vedere li può indicare?”, domanda il giudice Domenico Pasquale Stigliano, presidente della Corte. “Non me la sento”, risponde il ragazzo con un filo di voce.
“La Corte ha tanto materiale probatorio a disposizione – sottolinea l’avvocato (terminata l’udienza) –. Lui non è spaventato, non si tratta di paura. Si tratta di ragioni di opportunità, sta accusando dei parenti, non si sente sereno nel parlare mentre loro lo possono vedere. Ma non teme per la sua incolumità”.
Il testimone viene incalzato in merito alla sequenza dei momenti di quella sera. “Dopo aver visto lo zio prendere per il collo la sorella, non chiese ai genitori cosa stava succedendo?” domandano il giudice e il procuratore generale Silvia Marzocchi.
“Ho sempre avuto paura, stavo tremando”, risponde il ragazzo. Quando lo zio è rientrato a casa quella sera “stavo piangendo, mi ha abbracciato e mi ha detto di stare tranquillo”. E aggiunge che il padre rientrò in casa con lo zaino di Saman, “lo mise al secondo piano di casa, nell’armadio”. Altro punto: le registrazioni delle chat della sorella col fidanzato - che il ragazzo fece su richiesta della madre e che mostrò ai genitori – e sulle reazioni del padre e della madre. “Mio padre si arrabbiò tantissimo, Saman prese le sue cose per andarsene. Ma le diedero della carta, sono sicuro al 100% che non erano i documenti, erano stati nascosti”. La sorella, che era vestita con abiti pachistani, andò in bagno a cambiarsi, uscì con jeans e giacca. “Ricordo che la mamma diceva a Saman di non andare”. Ma poi uscirono in tre, Saman, padre e madre, come documentato dalle telecamere di sorveglianza.
“Io e il mio assistito siamo ultra sereni per questo appello – commenta l’avvocato Luigi Scarcella, difensore di Nomanulhaq –. Riteniamo che la sentenza sia fatta molto molto bene e che l’appello non sia in grado di scalfire il merito del provvedimento di primo grado. Nomanulhaq ora lavora, non sempre costantemente, con difficoltà, però lavora. È sul nostro territorio per poter lavorare e mantenere la famiglia che e’ in Pakistan e non ha in previsione di tornare nel suo Paese d’origine, se non per salutare i familiari che non vede da quasi cinque anni. È tranquillo e sereno così come l’altro cugino di Saman”.
Per quanto riguarda il filmato di 40 minuti realizzato dagli inquirenti per restituire una visione d’insieme della sequenza degli eventi di quella sera, la Corte d’assise d’appello, chiamata a decidere sulla sua utilizzabilità, si pronuncia favorevolmente, ma limitatamente a immagini e video già utilizzati in primo grado. Il filmato che mette in fila gli attimi dell’orrore viene proiettato in aula ma la madre di Saman, ieri vestita di rosa chiaro, non volge mai lo sguardo verso lo schermo (gli altri imputati invece seguono con attenzione). Gli unici istanti in cui invece è attenta e ascolta l’interprete sono quelli in cui sta parlando il figlio, che lei ha lasciato adolescente e che ora ritrova giovane uomo.
La testimonianza di Ali Heider proseguirà all’udienza di giovedì prossimo.