Saman, il processo Il dolore del fratello "Con le mani sugli occhi ha iniziato a parlare"

In aula le testimonianze dei carabinieri che iniziarono le ricerche "Andammo subito nel casolare in cui poi fu ritrovata la giovane. Ma i 15 cani molecolari non fiutarono la sua presenza".

Saman, il processo  Il dolore del fratello  "Con le mani sugli occhi  ha iniziato a parlare"

Saman, il processo Il dolore del fratello "Con le mani sugli occhi ha iniziato a parlare"

di Alessandra Codeluppi

Undici giorni dopo la sua scomparsa, avvenuta poco dopo la mezzanotte del primo maggio 2021, iniziarono le ricerche di Saman Abbas. Il 12 maggio dapprima a Novellara arrivò il nucleo cinofilo di Bologna, seguito il 15 dai cani molecolari. "Per prima cosa andammo a controllare il casolare di via Reatino", dove lei fu trovata sepolta in novembre: "Era un luogo che si prestava perché era un rudere con parti crollate, vicino alla sua abitazione. Ma i cani non la fiutarono". A riepilogare i primi accertamenti fatti dopo la scomparsa della 18enne pakistana è Antonio Matassa, comandante del Norm di Guastalla, sentito ieri nel processo che vede imputati per omicidio i genitori, lo zio e due cugini di Saman. I carabinieri si convinsero che la ragazza non potesse essere finita troppo lontana da casa in base a due elementi: "Gli Abbas non avevano mezzi propri, si spostavano in bici: per trasportare il cadavere avrebbero potuto usare un quad, ma i nostri accertamenti lo esclusero". Furono passate al setaccio le telecamere sulle strade dalle 22 del 30 aprile alle 5 del primo maggio: "C’era il lockdown, poteva circolare solo chi aveva attività di lavoro. Sentimmo un centinaio di persone". Alla fine venne meno l’idea che il corpo potesse essere spostato. "Furono anche svuotati i canali di irrigazione, controllati i pozzi e le porcilaie. E si allargò l’area delle ricerche dalle serre in avanti". In quel periodo il fratello di Saman, nel frattempo ora diventato maggiorenne, fu fermato a Imperia, dov’era andato insieme allo zio Hasnain. Il ragazzino fu sentito dai carabinieri dapprima il 12 e il 13 maggio dal luogotenente Pasqualino Lufrano, poi il 15 da Matassa. "Appariva molto provato e nervoso. Mi colpì che, quando si parlò di Saman, aveva una voce tremula: si accasciò mettendosi una mano sulla fronte. Poi, dopo un’ora, annunciò: ‘Adesso vi dico tutta la verità’. E iniziò a parlare in modo più sciolto". Il carabiniere ha accennato che in una banca dati europea risultava a carico di Danish un rifiuto di ingresso, probabilmente antecedente a quel momento. È emersa anche l’esistenza di una particolare utenza telefonica: "L’hanno scoperta gli inquirenti, ritenendola da subito sospetta – dichiara a margine Liborio Cataliotti, difensore di Hasnain –. Fu attivata il 27 aprile 2021 da Shabbar Abbas, il padre di Saman, che risulta intestatario, nel giorno in cui furono comprati i biglietti per il Pakistan: ci furono diversi contatti con alcuni protagonisti di questo processo. Si ipotizzò che Hasnain, convogliando sospetti su di lui, fosse il fruitore di quest’utenza, cosa che dimostreremo non essere avvenuta".

Shabbar Abbas ha acconsentito a partecipare al processo in videoconferenza, ma a ieri le autorità pachistane non avevano ancora predisposto il collegamento: il presidente della Corte d’Assise Cristina Beretti ne ha dato atto, attestando il legittimo impedimento dell’imputato e comunicando che è stato inviato in Pakistan il calendario delle date del dibattimento.