Sandro Santini Massenzatico, il dolore del fratello "Non si può morire così"

Gianluca Santini, si sfoga: "Diceva che con la cantina avrebbe messo via più soldi. Andarsene così non è giusto"

Sandro Santini (52 anni) il giorno del matrimonio

Sandro Santini (52 anni) il giorno del matrimonio

Massenzatico (Reggio Emilia), 18 gennaio 2019 - Mani che hanno lavorato la terra per una vita, strette a chiedersi perché Sandro Santini (52 anni) sia dovuto morire. Erano circa le 18.30 di giovedì quando il capo cantiniere della cantina di Massenzatico rimaneva intrappolato nelle pale di un vinificatore, la cisterna in cui vengono estratti i residui solidi dell’uva. «Uno non può scegliere quando andarsene – dice il fratello Gianluca –, ma morire così no. Morire così non si può».

La cantina sociale (foto) di via Beethoven è chiusa per lutto, tutta Massenzatico rimane immobile in uno spazio senza tempo, lì dove la memoria incontra il dolore. «Non è giusto, non c’è Dio – continua il fratello maggiore di Sandro –. Senza dignità, una persona che si è sempre impegnato nel lavoro».  Lui e il fratello hanno condiviso tutto, dall’azienda agricola di famiglia al ruolo di terzisti, fin quando Sandro decise di andare in cantina. «Era così contento – racconta Gianluca –, diceva che così avrebbe messo più soldi da parte. Non c’era nessuno come lui. Mai un attrezzo lasciato fuori posto, nessun trattore nemmeno ammaccato. Avevamo in mente di aggiungere un impianto di viti, lì dietro casa».

Migration

Lavoratore instancabile e meticoloso, Sandro «lo conoscevano tutti qui a Massenzatico – dice il cugino Massimo Soragni –. È una tragedia sentita in tutto il paese». Sul tavolo di casa una vecchia foto dei due fratelli da bambini, insieme al cugino Massimo, di fronte al muro della stessa casa attorno a cui la famiglia Santini si è stabilita, di generazione in generazione. I tempi in cui si faceva ‘baracca’ sull’aia con tutti i bambini della zona, con la pausa merenda e il panino al salame fatto in casa. «Una famiglia semplice, la porta sempre aperta agli amici – ricorda l’amico Corrado Sandrolini –. Sandro è sempre stata una persona semplice e buona, con un cuore immenso. Lui come la sua famiglia. Un’amicizia di quelle che al giorno d’oggi ce ne sono poche». 

Lo stesso spirito che, anche il giorno dopo la disgrazia, accompagna i parenti di Sandro nel ricordare la sua passione per le ape-car e i vari modelli della Vespa. Dietro il capannone che racconta gli sforzi di una vita e l’amore per la terra, c’è l’ape-car che usava sempre lui. Accanto, in diverse stanze, le versioni del celebre motorino collezionate nel tempo e che, se potessero parlare, racconterebbero di eterne scampagnate. 

Un attimo, uno solo, in cui il tempo torna ad avanzare e un flebile sorriso prende il posto del dolore. Non dura molto, non senza Sandro. «Mi aveva detto che sabato andava tirata la terra per seminare – dice il fratello –, ma domani (oggi, ndr) io non ci vado. Domani resto a casa».