di Alessandra Codeluppi
Beni sequestrati per un valore di 2,6 milioni: nel corposo elenco, figurano 55 immobili tra Reggio, Cadelbosco e Crotone, due società del settore edile, rapporti finanziari, partecipazioni societarie e un automezzo. Il provvedimento è stato eseguito dalla Direzione investigativa antimafia, coordinata dalla Dda di Bologna, ed emesso dal tribunale felsineo (Sezione misure di prevenzione) nei confronti di due imprenditori edili di Cadelbosco, padre e figlio, Gaetano e Domenico Oppido, che hanno visto in luglio confermate in Appello (in via non ancora definitiva) le pene riportate in primo grado nel processo di ‘ndrangheta ‘Grimilde’, filone con rito ordinario. Le condanne in ‘Grimilde’ ammontano a 6 anni e 4 mesi per Domenico Oppido (1976), a 3 anni e 8 mesi per Gaetano Oppido (1948).
Padre e figlio sono finiti a processo in ‘Grimilde’ per uno degli affari, ribattezzato dagli inquirenti col loro cognome, più grosso del sodalizio mafioso, e la vicenda era stata trattata anche nel processo ‘Aemilia’: una truffa, datata 20 luglio 2010, al ministero delle Infrastrutture del valore di 2 milioni e 200mila euro, arrivati sul conto della loro azienda attraverso una falsa sentenza, apparentemente emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, che imponeva di pagare la somma come risarcimento per l’esproprio di un terreno (in realtà inesistente) di proprietà della ditta degli Oppido. Secondo l’accusa, l’accordo fraudolento, per il quale si contesta l’aggravante mafiosa, prevedeva che i proventi sarebbero stati spartiti tra gli Oppido ed esponenti sia del sodalizio emiliano, sia della cosca Grande Aracri di Cutro.
Gli imputati, difesi dall’avvocato Antonio Piccolo, avevano rigettato le contestazioni. I reati di truffa e falso sono stati già accertati per alcuni coimputati anche nel filone in abbreviato di ‘Grimilde’, già approdato alla Cassazione. I giudici del processo ‘Aemilia’ in Appello avevano descritto la truffa come "una delle più significative e caratterizzanti il sodalizio emiliano sulle sue dinamiche e la sua capacità di porre in essere operazioni illecite e di accaparramento di somme di provenienza delittuosa, anche grazie all’appoggio compiacente di operatori del settore finanziario". Individuati in un funzionario di banca, Giuseppe Fontana, e un avvocato napoletano, Renato De Simone, condannati in via definitiva in ‘Grimilde’, rito abbreviato.
Secondo i giudici di ‘Aemilia’, "l’individuazione del conto corrente di Domenico Oppido fu proposta da Luigi Muto (1975), condannato per 416 bis, che coinvolse Nicolino Sarcone, Alfonso Diletto, Francesco Lamanna e Giovanni Abramo, genero di Nicolino Grande Aracri: si volevano individuare in Emilia coordinate intestate a un soggetto il più possibile lontano da contesti malavitosi, per allontanare i sospetti". Dalle intercettazioni, si rileva che "non solo gli Oppido hanno trattenuto tutta la somma, ma hanno anche imbastito, Domenico in primis, una trattativa che li ha visti negoziare coi vertici del clan (e differire il pagamento) senza timori reverenziali e, soprattutto, senza subire conseguenze (salvo il ceffone con cui Nicolino Grande Aracri colpì nella sua casa di Cutro Gaetano Oppido)". Sintomo, per i giudici, "piuttosto inequivoco, di un ‘rango’ loro riconosciuto dai vertici della cosca".
Sono state richiamate anche le dichiarazioni rese dal pentito Antonio Valerio, parente di Gaetano Oppido. Mentre nel procedimento ‘Idra’, Domenico Oppido figura già protagonista nel 2010 di una vicenda che vedeva i fratelli Nicolino e Gianluigi Sarcone "creditori della ‘Oppido Gaetano srl’ per 54mila euro per una prestazione eseguita in un cantiere degli Oppido in via Zanichelli a Reggio".
Per Domenico Oppido è stato constatato un risultato di esercizio, il parziale annuale, risultato positivo solo nel 1997 (più 20mila euro). E poi con andamento negativo, simile anche per il padre e i due fratelli. Si racconta poi la storia della ‘Oppido spa’, individuata come l’erede della ‘Oppido Gaetano srl’. Quest’ultima nel novembre 2010 fu trasformata in ‘Oppido spa’ con aumento di capitale da 119mila a 400mila euro e la nomina di Domenico Oppido come presidente, nel cda con il padre e altri familiari. Nel febbraio 2014 il cda si dimise e prese le redini Domenico Oppido come amministratore unico, che il mese dopo decise il trasferimento della sede sociale in Costa d’Avorio, "dove fu costituita la ‘Oppido spa Societè Anonyme, con capitale di 10 milioni di franchi Fca, cioè circa 15 milioni di euro, appartenente a una società denominata Italian Works Cote d’Avoire, di cui non risultano noti i soci", e finita sotto sequestro. Figurano anche immobili bloccati a Cadelbosco (via Alighieri, via Basso, via Lama) e a Reggio (Via Miselli e via Zanichelli); nonché il sequestro del 50% del capitale della 308 Bastia Giovanni sas e dell’ intero capitale per Tecno immobiliare srl.