Slot e ’ndrangheta, una società anche qui

Con l’azzardo la cosca Grande Aracri avrebbe guadagnato ogni anno 593 milioni. Sessantasei imputati in un processo a Potenza.

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di Alessandra Codeluppi

Il gioco era d’azzardo, ma i proventi erano certi e ingenti. Ognuna delle tremila macchinette piazzate dai clan calabresi e lucani in tutt’Italia avrebbe fruttato ogni anno 200mila euro, con un guadagno stimato in 593 milioni. Così, secondo gli inquirenti, la cosca Grande Aracri, con la regia del boss Nicolino, indagato, avrebbe realizzato introiti stellari spartendosi gli affari con il gruppo Martorano-Stefanutti della Basilicata.

Il patto per gestire le slot illegali sarebbe stato siglato a Cutro, a casa di Grande Aracri, dove il 25 gennaio 2014 si recò anche Dominique Scarfone, morto l’anno dopo in un incendio a Brindisi. Quest’attività illecita - le slot erano prive delle autorizzazioni statali, ma funzionavano grazie all’intervento di abili hacker italiani e stranieri - avrebbe avuto radicamenti anche nella nostra provincia, dove nel marzo 2017 scattarono cinque arresti. Scarfone aveva guidato infatti la Sio srl, con sede a Salvaterra, poi trasferita a Rosarno (Reggio Calabria) dal fratello Angelo.

L’uomo avrebbe gestito di fatto la società reggiana, sequestrata nel marzo 2017 nell’ambito dell’operazione ‘Ndrangames’ della procura di Potenza. A condurla formalmente sarebbero stati due nipoti di Dominque: il 30enne Zeno Timpani, residente a Casalgrande, e il 25enne Antonio Glorio, di Toano, entrambi arrestati (Timpani fu fermato in Calabria). Le manette erano scattate in tutto per cinque reggiani: oltre a loro due, anche Apostolos Nikolakakis, greco di 62 anni, di Castellarano, l’albanese 22enne Indrit Zeqiri e Yongli Zhang, cinese di 37 anni, entrambi di Casalgrande. Era stato sottoposto all’obbligo di firma, Rocco Guida, 35 anni, pure lui di Casalgrande.

Per i 66 imputati, accusati di associazione a delinquere transnazionale finalizzata alla raccolta dei proventi illeciti del gioco illegale online, l’udienza preliminare è stata fissata il 21 settembre a Potenza. Dopo due anni, la Cassazione ha infatti risolto un conflitto di competenza sollevato dal gup di Bologna e ha deciso che il procedimento si svolgerà a Potenza, da cui si diramò l’indagine, riguardante fatti avvenuti anche a Crotone, Matera e Reggio Emilia tra il 2012 e il 2015.

Intanto, tredici anni dopo la confisca sono state avviate le demolizioni delle case abusive costruite a Capo Colonna di Crotone, vicino al tempio greco, dalla famiglia Grande Aracri, nello specifico dai fratelli di Nicolino, cioè Antonio, Francesco, Giovanna, Rosario e Maria. Tre villette su cinque erano state realizzate in un’area inedificabile tra gli anni Ottanta e Novanta, mentre sono in corso contenziosi al Tar calabrese su altre due case.