Reggio Emilia, spari contro le pizzerie. Fermati i figli di Francesco Amato

Tentate estorsioni alle pizzerie: i tre sono stati portati in carcere dai carabinieri

Francesco Amato

Francesco Amato

Reggio Emilia, 10 febbraio 2019 - La svolta, clamorosa, nell’indagine-lampo sugli spari e le minacce contro le pizzerie della provincia è arrivata ieri mattina. I tre figli di Francesco Amato – sequestratore delle Poste di Pieve Modolena e condannato nel processo Aemilia con l’accusa di essere uno degli organizzatori dell’associazione ‘ndranghetistica – sono stati fermati dai carabinieri di Reggio Emilia e portati in carcere.

Ora Mario, Cosimo e Michele si trovano nel penitenziario della Pulce in attesa della convalida del fermo, richiesto dal sostituto procuratore Isabella Chiesi. Le accuse ruoterebbero attorno a diversi episodi di tentata estorsione che si sono verificati nei giorni scorsi e che hanno seminato il terrore nell’ambiente della ristorazione reggiana.

I giovani sottoposti a fermo – che hanno scelto come difensore di fiducia dall’avvocato Franco Beretti – sono stati trovati a Cavazzoli, dove abitano assieme ad altri membri della famiglia Amato. Il fermo sarebbe arrivato dopo una perquisizione.

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Uno di loro, Mario, risulta avere precedenti penali: era stato arrestato nel 2009 per un reato di detenzione di armi commesso assieme alla madre Annunziata Marcellino; reato per cui ha già scontato anni di carcere. Il padre Francesco si trova in carcere a Terni, una misura cautelare disposta per il sequestro alle Poste e dopo la sentenza di Aemilia.

Nei giorni scorsi sono state quattro pizzerie prese di mira dai presunti estorsori; le vetrine di due di questi locali erano stati colpiti da proiettili di pistola sulle vetrate, in piena notte. Episodi inquietanti avvenuti nel giro di pochi giorni. Il primo era arrivato la notte del 31 gennaio contro l’ingresso del ristorante ‘La Perla’. I secondi spari nella notte fra mercoledì e giovedì, contro il ‘Piedigrotta 3’.

Altri due locali – il Paprika e il Piedigrotta 2 – erano però finiti nel mirino. Gli inquirenti hanno trovato bigliettini contenenti richieste di denaro – «dammi mille euro, se sei d’accordo appendi un fiocco» – sequestrati dagli investigatori. Fin da subito le indagini serrate di carabinieri e polizia sono scattate per capire se potessero esserci collegamenti tra questi episodi e la criminalità organizzata.

Ieri, poi, la sterzata decisiva: con gli uomini dell’Arma che hanno portato in carcere i tre uomini di origine calabrese.

Francesco Amato, 55 anni, era stato condannato il 31 ottobre scorso a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia, con l’accusa di essere uno degli organizzatori dell’associazione ‘ndranghetistica. Assieme al fratello Alfredo, Francesco Amato secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era «costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati».

Dal giorno della sentenza, però, era risultato irreperibile. Latitante fino al 5 novembre scorso, con un colpo di teatro: Francesco Amato era ricomparso nelle all’interno delle Poste di Pieve Modolena, tenendo in ostaggio cinque dipendenti. Un sequestro durato otto ore, finito con la sua resa dopo una estenuante trattativa gestita dai carabinieri.

Nel 2016, all’inizio del processo Aemilia, lo stesso Amato aveva affisso un cartellone provocatorio davanti al tribunale di Reggio Emilia, scritto a pennarello e pieno di invettive.

Amato si era autodenunciato poi in aula definendosi l’autore di quel cartellone in cui, diceva, «era anche contenuto il nome dell’autore delle presunte minacce al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti», per le quali sono arrestate nelle scorse settimane due persone, tra le quali un sacerdote.