Reggio Emilia, spari alle pizzerie. Nuove perquisizioni

I fratelli Amato erano stati avvistati vicino a uno dei locali colpiti dai proiettili

Cadelbosco Sopra, spari contro la pizzeria 'La Perla'

Cadelbosco Sopra, spari contro la pizzeria 'La Perla'

Reggio Emilia, 11 febbraio 2019 - Sono tornati sul luogo del delitto. Questo li avrebbe fregati, come nel più banale e classico dei polizieschi. È arrivata così la svolta clamorosa nell’inchiesta lampo sugli spari contro due pizzerie reggiane (con altre due minacciate utilizzado pizzini con richieste di denaro).

Un copione da manuale, quello che ha portato al fermo dei tre fratelli Amato, figli di Francesco – sequestratore delle Poste di Pieve Modolena e condannato nel processo Aemilia a 19 anni e un mese di reclusione. Mario (29 anni da compiere), Michele (21 anni) e il 19enne Cosimo Amato si trovano ora nel carcere di via Settembrini in attesa della convalida del fermo, disposto su iniziativa investigativa dei carabinieri di Reggio che stavano indagando sugli inquietanti episodi.

I tre giovani – originari di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, ma da qualche tempo domiciliati nella casa degli Amato di via Rinaldi, a Cavazzoli – sarebbero stati individuati dagli uomini dell’Arma anche grazie al rafforzamento dei controlli di polizia intorno ai quattro ristoranti minacciati.

LEGGI ANCHE "Mi hanno chiesto mille euro"

In particolare vicino a uno di questi locali, nei giorni successivi alle intimidazioni, sarebbe stata vista passare un’auto con a bordo queste persone, già note alle forze di polizia. Sono quindi scattati gli accertamenti, per ricostruire i loro movimenti. E, proprio da lì, è partita la pista dei fratelli Amato, che ha portato a raccogliere gli elementi che hanno convinto i carabinieri a eseguire il fermo.

I tre ventenni – difesi di fiducia dall’avvocato Franco Beretti – dovranno rispondere, a vario titolo e in concorso tra loro, delle accuse di tentate estorsioni aggravate e continuate e del possesso di armi illegali. Il fascicolo è stato aperto dal sostituto procuratore reggiano Isabella Chiesi e ai reati non è stata contestata, al momento, l’aggravante dell’aver utilizzato il metodo mafioso.

Sono ancora in corso perquisizioni, però, da parte degli inquirenti per raccogliere elementi utili a corroborare le ricostruzioni dell’accusa. Decisiva è stata anche l’analisi dei filmati delle telecamere di sorveglianza poste nei dintorni dei locali presi coinvolti.

Quattro le pizzerie prese di mira dai presunti estorsori; le vetrine di due di questi locali sono state colpite da proiettili di pistola sulle vetrate, in piena notte. Episodi inquietanti avvenuti nel giro di pochi giorni. Il primo atto intimidatorio – con sei proiettili – era arrivato la notte del 31 gennaio contro l’ingresso del ristorante La Perla di Cadelbosco Sopra. Il secondo avvertimento a colpi di pistola – questa volta si trattava di almeno cinque bossoli ritrovati – nella notte fra mercoledì e giovedì, contro il Piedigrotta 3 di via Emilia Ospizio.

Altri due locali – il Paprika e il Piedigrotta 2, sempre sulla via Emilia verso Modena – erano però finiti nel mirino. I titolari degli esercizi commerciali negli stessi giorni avevano trovato bigliettini – poi consegnati agli investigatori – contenenti richieste di denaro: «Dammi mille euro, se sei d’accordo appendi un fiocco», si leggeva.

Le indagini ora proseguono serrate per chiarire i contorni di questa vicenda, dai tratti allarmanti. Ancora da tratteggiare, infatti, il coinvolgimento dei questi tre giovani, membri di una famiglia protagonista del più grande processo alle infiltrazioni di ’ndrangheta che si sia svolto al nord. Gli investigatori dovranno anche capire se gli episodi siano da inserire all’interno di una strategia tipica della criminalità organizzata.