Tanti vantaggi, ma bisogna saper vigilare

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Stefano

Chiossi

Con l’ingresso nel seminario, prende corpo l’idea di quella Reggio ‘città universitaria’ immaginata con il Comune". Le parole del rettore di Unimore, Carlo Adolfo Porro, potrebbero apparire ridondanti, come spesso avviene nel ‘taglio del nastro’; quelle pronunciate all’ex seminario vescovile di viale Timavo non sono state troppo diverse. Se non per quella scintilla: città universitaria. Concetto spesso abusato, vero, ma di cui pochissimi possono fregiarsi il titolo. Esempio eccellente, Bologna. Dove non a caso frequento tutt’ora la magistrale. Partiamo da alcuni numeri. Unimore conta 25mila iscritti (26esima in Italia); l’Unibo 81mila, seconda dopo La Sapienza di Roma. I fuorisede dell’Alma Mater hanno un impatto di 220 milioni di euro annui; il vero significato di città universitaria in fondo è tutto qui. I 3mila nuovi posti che potrà ospitare l’ex seminario a pieno regime è un primo passo. Significa maggiore attrattività a due passi dal centro, oltre alle competenze di cui Unimore – si pensi a ingegneria o i servizi educativi – non ha proprio nulla da invidiare; una città più ricca, viva, frequentata, presidiata. Uscire da una nicchia ‘dorata’ in cui spesso ci siamo autoreclusi. E sì, ci sono aspetti negativi. Chiunque sia passato da piazza Verdi nelle serate bolognesi (ritrovo classico di universitari) ha visto un luogo spesso sporco e degradato, tanto che in vista delle prossime elezioni felsinee del 2021 sono gli stessi studenti a richiedere "un sindaco della notte". Insomma, la città universitaria va poi gestita. Ma in fondo chi non la vorrebbe?