Reggio Emilia, 14 ottobre 2023 – Gli appetiti intorno ai beni di Alberto Agazzani, il critico d’arte trovato morto a 48 anni, il 16 novembre 2015, nella sua casa in via Farini. Ecco come il giudice Matteo Gambarati motiva la condanna a un anno pena sospesa per falso in testamento olografo, e l’assoluzione dalla truffa, a carico di Marco Lusetti, ex vicesindaco di Guastalla.
"Lusetti ha redatto di proprio pugno il testamento a firma Agazzani datato 16 gennaio 2015, poi pubblicato davanti al notaio Giorgia Manzini": al centro l’eredità di libri d’arte, abiti di pregio e quadri, su cui ha investigato il sostituto procuratore Maria Rita Pantani e per i quali è stato disposto il dissequestro e la restituzione agli eredi.
La grafologa Nicole Ciccolo ha spiegato che il testamento olografo del 6 ottobre 2014, dove si indica Carlo Malavolti come erede universale, è certamente riconducibile ad Agazzani, ma non quello redatto tre mesi dopo. Il giudice rimarca che "lo stesso Lusetti aveva ricevuto da lui numerosi scritti e durante la perquisizione del febbraio 2016 era stato trovato con il testamento del 6 ottobre 2014, possibile atto del quale è stata fatta l’imitazione".
L’altro imitatore "poteva essere Malavolti, ma fu escluso dagli accertamenti grafici e dal fatto che era indicato come erede". Se la difesa ha attribuito quella divergenza nella scrittura alle conseguenze dovute all’incidente stradale di Agazzani del luglio 2015, "il perito è stato granitico nel dire che il testamento 2015 è stato redatto con mano ferma e tonica".
L’imputato sostiene che la variazione delle ultime volontà di Agazzani avvenne per tutelare Malavolti, vista l’esposizione debitoria del critico d’arte.
"Versione che non regge sul piano logico. Ammesso e non concesso che lui fosse così indebitato, tale status sarebbe stato presente sia nell’ottobre 2014 sia nel gennaio 2015. Piuttosto, l’inizio della frequentazione con Andrea Bertolini (fu fidanzato con Agazzani, ndr ) si salda con la sua scelta di donargli tre beni che Lusetti e Malavolti hanno tentato di recuperare post mortem. È poi del tutto evidente che Lusetti e Malavolti abbiano agito per evitare che i beni del critico d’arte potessero finire nelle mani della sorella Daniela Agazzani o di Bertolini. Non vi è ragione di dubitare di Bertolini quando dice che Lusetti e Malavolti gli consegnarono quei beni per timore che li sottraesse la sorella. Per recuperarli, Lusetti e Malavolti dapprima hanno fatto valere prima la carta del presunto diritto di proprietà, poi quella del testamento apocrifo. Lusetti e Malavolti hanno mentito alla sorella Daniela, facendole credere che Agazzani avesse un debito significativo con l’erario, in realtà di importo molto contenuto: volevano indurla a disinteressarsi alla successione del fratello, probabilmente perché sapevano che se lei avesse visto il testamento apocrifo redatto da Lusetti, si sarebbe potuta accorgere della non autenticità".
E infine rileva: dopo la pubblicazione dal notaio Manzini l’imputato fece una serie di azioni – vendita dei beni e richiesta di liquidazione della polizza alle Poste – che presuppongono la sua volontà di accettare l’eredità. La scelta di rendere nota la presenza di due testamenti e di rivolgersi al notaio Manzini, che conosceva di vista lui e Malavolti, "era per non alimentare sospetti".
L’avvocato difensore Erica Romani darà battaglia: "Il mio assistito continua a professare la propria innocenza che ora sarà dimostrata in Appello. Evidenzio che dei tre periti di calligrafia, ben due, cioè i consulenti del pm, non avevano identificato la scrittura del testamento con quella di Lusetti".