di Alessandra Codeluppi
Aveva origini lontane, ma si era ben integrata ed era diventata una di noi. Il dolce sorriso di Hui Zhou, per tutti ‘Stefania’, accoglieva ogni giorno chi andava a prendere il caffé nel bar ‘Moulin rouge’ di via Fratelli Manfredi, allora gestito dalla sua famiglia. Lei, figlia di cinesi, aveva studiato a Reggio, amava aiutare le persone nella chiesa del culto evangelico cristiano, insegnava a cantare e a recitare ai bambini, aiutava chi aveva problemi di lingua. Finché la sua vita finì all’improvviso, a soli 25 anni, dentro quel locale, nel sangue, per mano di un uomo che le diede nove coltellate. Accadde oggi, esattamente quattro anni fa. A lui, Hicham Boukssid, oggi 38enne, fu poi diagnosticata una seminfermità mentale: l’amore per la ragazza era viziato da un disturbo delirante della personalità. Dopo l’omicidio, compiuto in presenza di clienti che non intervennero in aiuto di lei, il marocchino fuggì rimanendo nascosto per dieci giorni, finché non si consegnò ai carabinieri. Tanti reggiani vollero stringersi alla sua famiglia e alla comunità cinese, portando al bar un fiore in sua memoria La famiglia della ragazza fu sconvolta: in tribunale la mamma Lyun e il fratello Kai, insieme al papà Xuran, piansero mentre raccontavano di aver dovuto svendere il locale, perché il dolore di stare dietro quel bancone era insostenibile. Lacrime sì, ma anche tanta dignità: un dolore prepotente, eppure mai urlato. In aula è sfilata anche la vita difficile dell’imputato, da un’infanzia traumatica nel Paese d’origine fino all’Italia, vissuti tra espedienti come lo spaccio e il disagio mentale. Il pubblico ministero Marco Marano chiese l’ergastolo, dicendo lui stesso che non c’erano i futili motivi (in quanto "espressione stessa della sua malattia"), ma rimarcando la premeditazione e la crudeltà. La difesa, affidata all’avvocato Pina Di Credico ha invece sostenuto che non sussistevano le aggravanti, specie la crudeltà, richiamando anche altri omicidi in cui, nonostante il maggior numero di colpi inferti, non fu riconosciuta. Nel maggio 2022 la Corte d’Assise lo condannò a 24 anni e mezzo, depennando premeditazione e futili motivi, ma riconoscendo la crudeltà e ponendovi in equivalenza l’attenuante del vizio parziale di mente. "Prima di ucciderla lui volle infliggerle ulteriori sofferenze rispetto alla morte - motivarono i giudici Cristina Beretti e Chiara Alberti -. La ragazza ebbe il tempo per implorarlo di smettere, per dirgli che l’avrebbe persino pagato pur di lasciarla in vita, per urlare dalla paura fino all’ultimo respiro". Nel marzo di quest’anno la Corte d’Appello gli hanno ridotto la pena di quattro anni: i giudici hanno dato maggior peso alla sua malattia psichiatrica, riconoscendola prevalente sulla crudeltà, aggravante confermata e sulla quale la difesa continuerà a dare battaglia perché decada: "Ho presentato il ricorso in Cassazione - dichiara l’avvocato Di Credico - perché ritengo che non sussistano i presupposti giuridici per ravvisare la crudeltà". L’udienza è fissata in novembre. Padre, madre e fratello sono costituiti parte civile: "Continueremo a restare accanto alla famiglia della vittima - dichiarano gli avvocati Giulio Cesare Bonazzi e Simona Magnani -. In questo giorno anche noi vogliamo ricordare Hui". Il fratello Kai, ‘Angelo’, 31 anni, ora lavora come impiegato di import-export a Padova, dove vivono anche i genitori: "Li ho portati via da Reggio con me perché ritrovassero tranquillità e potessero stare vicini a mia figlia, la loro nipotina. Con Hui è venuto a mancare un pezzo della nostra vita: era bellissima e dolcissima. Come famiglia non abbiamo ancora avuto un risarcimento: proviamo rabbia, perché la legge sta dalla parte di chi sbaglia, non tutela chi cerca una vita serena e i tempi della giustizia sono lunghi. Soprattutto persone come chi ha ucciso mia sorella non dovrebbero stare in Italia perché prive di permesso: invece magari restano qui, non lavorano e si danno allo spaccio. Servono leggi più severe".