Troppo giovane o malata per il vaccino Covid. "Ho aspettato 2 ore invano alle Fiere"

La testimonianza di Marina Sensati, operatrice sanitaria e malata oncologica. Le hanno negato il Pfizer durante il primo ciclo di iniezioni. E Astrazeneca non può farlo perché assume farmaci

Marina Sensati, terapista di neuropsicomotricità, durante una seduta

Marina Sensati, terapista di neuropsicomotricità, durante una seduta

Reggio Emilia, 7 marzo 2021 - Invalidi. Disabili. A Reggio ci chiamano persone fragili. Dicono che abbiamo diritto alla bellezza. Organizzano per noi progetti intensi, innovativi, che tengono conto dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni. Tutto molto profondo. Eticamente ineccepibile. Finché non arrivano la quotidianità, la pandemia, le vaccinazioni. Allora emerge chiaro, immediato, banale, che, semplicemente, non contiamo niente. Non abbiamo un Ordine. Non un sindacato potente. Siamo troppo pochi, per avere un peso politico.

E allora succede che non rientriamo in nessun progetto e in nessuna pianificazione vaccinale. Troppo giovani per il vaccino Pfizer. Troppo malati per Astrazeneca. In una campagna gestita in modo difficilmente comprensibile, porto il mio personale esempio, per dare voce a tutti quelli che si trovano nella mia stessa situazione.

Ho 43 anni e sono una professionista sanitaria, libera professionista. Da un anno sono anche malata oncologica, invalida al 100%. Ho diritto al vaccino, come professionista sanitaria che cerca, se pur con le minime forze rimaste, di continuare a lavorare. Vengo convocata a fine gennaio per la prima dose di Pfizer. La sera prima mi comunicano che le dosi sono finite e la mia vaccinazione viene sospesa. Vengo anche intimata di non telefonare né chiedere vie prioritarie perché disturberei. Attendo paziente che vengano messe a disposizione nuove dosi. Nel frattempo vaccinano personale amministrativo degli ospedali, volontari, amici dei volontari. Dopo un mese viene generato un nuovo link di iscrizione per i professionisti sanitari, aderisco e vengo chiamata. Comunico al telefono la mia patologia, ma non è di competenza del call center darmi una risposta. Compilo il questionario e dichiaro la mia patologia, ma nessuno legge quel questionario perché non si è pensato di creare un programma che blocchi l’iscrizione al vaccino Astrazeneca per chi abbia una patologia o assuma cortisone.

Mi presento all’appuntamento, faccio due ore di coda, in piedi, nel padiglione delle Fiere, con la mascherina. Lo faccio con dignità, perché è così che ho scelto di vivere la mia malattia. A testa alta, senza chiedere sconti a nessuno, anche se restare in piedi due ore mi scuote le ossa. Tocca a me, finalmente. E invece no. Due ore di coda e 5 secondi per dirmi che no, io quel vaccino non posso farlo. Arrivederci e grazie. Troppo malata per fare Astrazeneca, troppo giovane per fare Pfizer. Quello stesso Pfizer che ora è prenotato per gli anziani che ne hanno giustamente diritto. Ma che inizialmente è stato dato a tutti, anche a chi aveva l’età e la salute per poter fare Astrazeneca.

Mi dicono che capiscono, che non è loro responsabilità, che tanto io lavoro meno degli altri. Mi dicono che vedranno, che faranno... E io, che non ci credo più, resto lì, da sola, e piango. Piango per me, e per tutti quelli come me che sono stata illusi. Piango per chi si trova a vivere una malattia dentro una pandemia e che prova, nonostante tutto, a mettere in fila i giorni. Piango per chi ancora aveva fiducia nella politica delle persone. Piango, a lungo, e poi asciugo le mie lacrime. Continuerò a vivere a testa alta, un passo alla volta. Soltanto, non ci crederò più.