
Richiesta della procura di Roma, l’amaro commento di Marco Gatti "Nessuna verità per mio zio, comandante dell’Itavia. Una strage di Stato".
di Gabriele Gallo"Guarda, cos’è…?". E’ l’ultima frase pronunciata da Domenico Gatti, il comandante del Dc9 dell’Itavia caduto, o forse abbattuto, il 27 giugno 1980 sui cieli di Ustica.
Sono le 20.58 quando il pilota, originario di Reggio, si congeda dalla vita lasciando quel messaggio a mezz’aria, prima che la decompressione esplosiva causata, secondo quanto accertato dalle inchieste ma mai da un processo, dall’impatto con un missile o da una collisione con un velivolo militare, disintegri in pochi secondi l’aereo e tolga il respiro a Gatti stesso e alle altre 80 anime che con lui cadranno nei cieli del mar Tirreno. Per 45 anni i familiari delle vittime hanno cercato di sapere la verità su quanto accadde in quei minuti: invano.
Beffati da depistaggi, omissioni, testimonianze verbali rilasciate anche nelle ore immediatamente successive alla tragedia, ma mai confermate in sede giudiziaria. Mogli, mariti, figli, fratelli, nipoti, che raggruppati nell’Associazione che per oltre quattro decenni ha chiesto, e mai ottenuto, giustizia si sono sentiti prima rifilare la bugia del "cedimento strutturale", per poi fare i conti con tante ipotesi e possibili scenari. Il più accreditato quello della battaglia aerea, con il Dc9 che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato, tra caccia stranieri, Nato e ostili, e un velivolo misterioso che, forse, trasportava il colonnello Gheddafi, dittatore della Libia al tempo nel mirino, letteralmente, di vari Paesi occidentali.
Scenari mai suffragati da riscontri probatori, nonostante le tante inchieste. L’ultima, in ordine di tempo, quella archiviata ieri dalla Procura di Roma, avviata nel 2008 dopo le dichiarazioni dell’ex Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, su possibili responsabilità dell’aeronautica militare francese, ipotesi suffragata dalla testimonianza resa in tal senso, al quotidiano ‘La Repubblica’ da Giuliano Amato nel 2023.
Anche questa però "de relato" e dunque non valida come elemento probatorio per prolungare la durata degli accertamenti giudiziari.
La battaglia dei familiari dei martiri di quella notte non si è però mai fermata e, tra di essi, a lungo in prima fila c’è stato Edoardo Gatti, fratello del pilota del volo Itavia, noto a Reggio per avere fondato e diretto per anni l’omonima autoscuola. Gatti, nel 2020, a 40 anni dalla strage, rilasciò un’amara intervista al Carlino ove affermò "non mi faccio illusioni, morirò senza sapere la verità (triste presagio avveratosi a marzo 2022 con la scomparsa dell’imprenditore) ricordando in particolare gli ultimi momenti passati col fratello ("pranzammo insieme a Reggio, poi lui partì per Bologna per assumere il comando del Dc9") e il drammatico viaggio a Palermo per cercare, tra i poveri resti riemersi dal mare, quelli di Domenico, mai trovati. "Quello – disse nell’intervista citata Gatti – fu un dolore nel dolore" assieme al ricordo di "cadaveri quasi tutti privi degli occhi, a parte quelli dei bambini perché erano più bassi dei sedili. Quel giorno – aggiunse piangendo – in quella stanza vidi tutta la cattiveria dell’uomo".
La notizia dell’archiviazione non stupisce più di tanto Marco Gatti, figlio di Edoardo e nipote del comandante del volo Itavia: "Ad amareggiarmi – commenta Marco dopo le notizie arrivate ieri, che hanno monopolizzato i tg di tutti i canali televisivi – non è tanto quest’ultima notizia, ma gli oltre quarant’anni di coperture, depistaggi, il noto muro di gomma. Mio padre, mio fratello Davide ed io siamo sempre rimasti in contatto con i nostri cugini, perché quella sciagura è stata una presenza costante nella nostra famiglia; e purtroppo ci aspettavamo, per i motivi che ho detto prima, che non si arrivasse in fondo a questa storia. Sia i figli di Domenico che noi - aggiunge - un’idea di quello che è successo, ce la siamo fatta. Il problema è che senza una verità processuale, ognuno resterà con le sue convinzioni e non potrà mai dire davvero: questa è la verità".
Un convincimento ben chiaro, e sempre riportato nella citata intervista, nella mente di Edoardo Gatti: "La risposta era già nell’inchiesta che fece, pochi mesi dopo, la Bbc: fu un missile. Su chi lo lanciò sono invece ancora in dubbio".
Tornando all’attualità, Marco Gatti non è nemmeno troppo fiducioso che la politica, ora, possa dare una mano alla ricerca della verità: "E’ stata una strage di Stato ma… non italiana, di tanti Stati, per questo credo che nessuno dirà mai: il colpevole sono io o siamo noi. I protagonisti saranno già quasi tutti morti, e difficilmente qualcuno avrà lasciato qualcosa di scritto. E anche in Italia i segreti sono stati coperti per ragion di Stato anzi, per torto di Stato".
Gatti conclude poi con un ricordo personale di quei giorni: "Avevo 16 anni al tempo. Mio padre tornò dal viaggio a Palermo profondamente scioccato e turbato per quello che aveva visto. Ma anche per quello che aveva sentito: da subito si diceva che era stato abbattuto, che c’era stata una battaglia. Ma se nessuno volle confermarlo allora, figuriamoci oggi". A Bologna, tutt’oggi molto visitato, c’è il museo della strage di Ustica, con i resti dell’aereo Itavia in esposizione per non dimenticare.