"Vorrei la Spergola nello spritz, dobbiamo conquistare i locali"

Il direttore commerciale di Emilia Wine (che viene dal Veneto): a Verona 30 anni fa si bevevano i toscani...

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"Prima si diventa grandi in patria, nel senso di azienda e territorio. Poi fuori, nel mondo. Tanti cercano di fare il contrario...". È la ricetta di Marco Fasoli, neo direttore commerciale e marketing di Emilia Wine, dal curriculum prestigioso (Antinori, distilleria Bertagnolli e docente alla scuola internazionale di cucina). Un’esperienza che alza l’asticella dell’ambizione della cooperativa reggiana.

Direttore, lei viene dal Veneto dove il vino è garanzia. Il salto in Emilia è una sfida?

"No, semplicemente mi hanno convinto le persone. La visione imprenditoriale del presidente Frascari mi ha spinto a fare questa scelta".

Come valuta il sistema Emilia nel settore?

"L’Emilia non ha mai voluto un’identità, c’è sempre stata una guerra fra poveri e questo non ha portato alla notorietà del prodotto, anzi ha svilito il valore come per il Lambrusco".

Una regione troppo chiusa?

"Sì, ma ha un vantaggio competitivo da sfruttare. L’Emilia è il cuore pulsante della gastronomia italiana nel mondo, se aveste inventato la pizza non ci sarebbero rivali. Dalla pasta al Parmigiano Reggiano. Oggi la cucina cerca semplicità ed essenza. Qui il nostro Paese e i vini emiliani possono avere una chance".

Ed Emilia Wine?

"Oggi c’è la corsa agli autoctoni. Noi abbiamo la Spergola, di cui siamo primo produttore, con una notorietà che sta salendo. Ce lo chiedono da Inghilterra, Giappone e Usa. Ha contenuti di bevibilità e immediatezza importanti. E poi c’è il Migliolungo che preserva 21 varietà di lambruschi dimenticati, è un unicum. Inoltre il nostro Cabesina è il metodo classico più antico del territorio reggiano. Ambiamo a diventare una sorta di microfaro qualitativo per i prodotti di collina che possono dire la loro sul mercato. Non dico che il nostro vino sia il più buono di tutti, ma abbiamo potenzialità ancora sottosviluppate. Tornando al discorso dell’Emilia, dobbiamo essere noi a trainare il sistema".

Obiettivi e sogni?

"Il primo step è innestare un senso di appartenenza nell’azienda facendo maturare a pieno il processo della fusione cooperativa e di conseguenza aiutare il territorio ad evolversi. Qui ho notato che si bevono più vini da fuori provincia che i nostri. Ma ci vuole tempo, anche a Verona vent’anni fa non si beveva Valpolicella o Soave, ma i trentini o i toscani. Ecco, io voglio che nei bar reggiani ci sia la Spergola anche per uno spritz. Non è provincialismo, ma identità di un territorio. Quando nasceva un vino in Antinori, il primo scopo era venderlo nella provincia di produzione e poi nel mondo. Lo portavo persino alle farmacie... La notorietà va creata, non viene da sola".

Daniele Petrone