Reggio Emilia, Maramotti: "Zona stazione, abbiamo sbagliato"

Il presidente della cooperativa L’Ovile: "Cooperative troppo divise". E si schiera con l’assessore Lanfranco

La zona tra via Turri e via Paradisi

La zona tra via Turri e via Paradisi

Reggio Emilia, 30 giugno 2020 -  Valerio Maramotti, presidente cooperativa L’Ovile, come valuta l’operazione ‘902/Abitare Solidale’ del Comune nei tre palazzi di via Paradisi? "Il nostro parere verso una qualsiasi riqualificazione nel quartiere stazione non può che essere positivo. Poi che nei modi e che sulla comunicazione si potesse fare meglio, se ne può pure discutere. Ma vorrei spostare l’attenzione sul contenuto. Crediamo fortemente che in questa zona occorra investire e portare progetti. Come del resto abbiamo fatto noi come cooperativa in questi anni". Quali sono i vostri progetti di punta nella zona? "Abbiamo strutture in via Gobetti vicino al supermercato Coop inaugurate nel novembre 2018 dove ci occupiamo di malati psichiatrici, ma anche in via Turri e via Paradisi dove accogliamo persone in difficoltà di vario livello, dai problemi economici a quelli abitativi per toglierli dalla strada. Inoltre sempre in via Turri abbiamo attivato un punto dove offriamo mediazione dei conflitti". Una parte del quartiere – in particolare rappresentata dai proprietari di appartamenti – osteggia il progetto descrivendolo come una "sostituzione umana". "Non sono d’accordo. Vorrei si parlasse di valorizzazione di quest’umanità. L’ottica è sempre quella di mettere al centro le persone, investire su di esse. Le diversità nel quartiere sono una ricchezza. Va sottolineato anche il miglioramento estetico che porterà la riqualificazione. La bellezza aiuta a vivere meglio, a creare ordine ed ha una capacità educativa intrinseca. Ed è anche un presidio di legalità. Questo è un luogo che non va dato per perso".  

C’è chi dice anche che quelli non sono i palazzi più disagiati della zona – anche se il nostro recente reportage ha dimostrato che i problemi ci sono eccome a detta di tanti – e che si poteva mettere mano altrove. "I problemi nel quartiere sono innegabili. Questo progetto non sarà la panacea di tutti i mali, ma da qualche parte bisogna pur iniziare se si vuole alzare l’asticella. Poi è chiaro che ci saranno step successivi da affrontare: le fragilità che andranno via dal quartiere dovranno essere seguite ancora, perché il rischio è che i problemi si spostino. Noi per questo, ci siamo". In questi anni cos’è stato fatto? L’impressione è che ci sia stata mancanza di unione tra associazioni e cooperative, che si sia quasi ‘perso tempo’. "Premessa: se guardiamo anche solo a cinque anni fa, il quartiere è migliorato. Sono state fatte tante cose. Ma concordo che si potesse fare meglio. A mio parere è mancata una co-progettazione fra pubblico e privato che in tante altre zone ha funzionato fino a diventare un punto di forza. Un esempio ottimo nel quartiere è stata la collaborazione fra Comune e privato sociale per Binario49 che ha portato risultati. Prima d’ora non era mai stato fatto. Le stesse cooperative erano spacchettate, ognuno guardava al proprio pezzettino; è lampante il modo in cui è stato portato avanti il chiosco di piazzetta Secchi, ma senza accusare nessuno. Anzi, faccio anche autocritica: non abbiamo brillato né noi né il pubblico. Col senno di poi ovvio che è facile...".

Quindi è un punto di ‘riqualificazione’ anche per le coop?

"Abbiamo fondato un anno e mezzo fa con altri soggetti che operano in zona stazione la ‘Cooperativa Impossibile’, proprio per avere un coordinamento ed essere un unico interlocutore. C’è una convenzione in ballo col Comune, ma si è arenata. Lo strumento c’è e noi siamo disponibili".