Ferrarini in crisi. "Tre acquirenti, uno estero"

Incontro a Roma coi lavoratori. L'azienda dei salumi continua a pagare gli stipendi

Lisa Ferrarini, l’amministratrice delegata del Gruppo Ferrarini

Lisa Ferrarini, l’amministratrice delegata del Gruppo Ferrarini

Reggio Emilia, 25 ottobre 2018 - Ottocento lavoratori, ottocento famiglie, con il fiato sospeso. La crisi del Gruppo Ferrarini è soprattutto questo. Ma nelle ultime ore, anche dopo le confortanti parole rilasciate al Carlino pochi giorni fa da Lisa Ferrarini, sembra che una speranza ci sia.

Il Gruppo Ferrarini prosegue la corsa per un nuovo piano industriale - che va essere presentato entro il 23 dicembre prossimo -, ma intanto sono in corso contatti per l’ingresso nella compagine sociale di diversi soggetti, sia industriali che finanziari, in grado di assicurare prospettive produttive e occupazionali. E’ quanto emerso ieri nella sede del ministero dello Sviluppo economico a Roma, al tavolo per la crisi della storica azienda reggiana dell’agroalimentare. Il sottosegretario alla presidenza della Giunta della Regione Emilia-Romagna, Giammaria Manghi, si augura che «la proposta di piano concordatario, o perlomeno le linee guida principali, vengano presentate al tavolo istituzionale con un utile anticipo temporale rispetto alla scadenza del 23 dicembre. Ci aspettiamo di essere riconvocati a breve dal ministero per conoscerne i dettagli». Manghi auspica infine «che la soluzione a cui la proprietà sta lavorando possa garantire la migliore prospettiva occupazionale e la piena tutela di un’eccellenza alimentare del nostro territorio».

Giovanni Velotti, sindacalista Flai Cgil, avete ricevuto novità sul futuro del marchio Ferrarini?

«Sono arrivate, e sembrano positive».

Non ci tenga sulle spine.

«L’azienda ha avviato dei contatti con tre possibili partner commerciali interessati all’acquisto. Di questi, due sono italiani, complementari nel settore (uno dovrebbe esser il noto marchio Amadori, che però ha smentito ndr), mentre il terzo avrebbe una collocazione estera. Oltre ad alcuni fondi di investimento».

Sui nomi però bocche cucite.

«Hanno preferito evitarli, e comprendo la scelta. Inoltre è una tematica che ci interessa fino a un certo punto: il nostro focus sono i dipendenti».

Ci sono state promesse?

«Gli obiettivi del marchio Ferrarini, almeno a parole, sono stati chiari. Prima di tutto c’è la salvaguardia occupazionale, a seguire il mantenimento dei siti produttivi, e in ultimo la chiusura dei debiti. Visto che sono in ordine di importanza, come sindacato siamo ben contenti».

Per quanto riguarda le tempistiche invece a che punto siamo?

«Entro due, al massimo tre settimane sarà presentato il piano industriale anticipato nel concordato preventivo; a quel punto saranno messi nero su bianco gli impegni presi, e i nomi dei possibili partner interessati. Rimaniamo ottimisti, anche perché a Reggio i dipendenti per ora lavorano».

Niente cassa integrazione quindi?

«Su 247 lavoratori, ce ne sono una quarantina in solidarietà, e nulla più. Capisco che la situazione sia paradossale, ma è così: l’azienda produce degli utili evidenti, con un grande problema legato ai debiti contratti; per questo serve liquidità. Però diversamente dallo stabilimento di Parma, qui da noi i problemi sono minori: basti pensare che escluse due mensilità e mezzo previste nel concordato, l’azienda sta pagando regolarmente».

Una situazione tranquilla all’apparenza.

«Attenzione a non farsi trarre in inganno: la strada è ancora molto lunga e richiede precisi interventi».

La permanenza della famiglia Ferrarini sarebbe importante a suo parere?

«Come detto, hanno messo questa clausola all’ultimo posto a livello di importanza, con la chiara volontà di non essere da ostacolo. Certo, per spirito territoriale, storia e garanzie su Reggio spero possano proseguire».