La ragazza, il sushi, i cappelletti: ecco la benzina di Bulegas

Nicolò Bulega, 16 anni, dopo l’emozionante podio in Moto3 a Jerez: "E’ stato il week-end più bello della mia vita. Il mio sogno? La Motogp"

Nicolò Bulega con Valentino Rossi: «Per me è come un fratello maggiore»

Nicolò Bulega con Valentino Rossi: «Per me è come un fratello maggiore»

Reggio Emilia, 27 aprile 2016 - A Jerez deflagra il fenomeno Nicolò Bulega. Fenomeno del momento, come certifica il fine settimana da urlo vissuto dal centauro figlio d’arte (papà Davide è stato buon protagonista nel Motomondiale e nel Mondiale Supersport) sul tracciato andaluso: alla quinta partecipazione a una gara iridata, il ragazzo nativo di Montecchio – ma residente sino al 2008 a Taneto di Gattatico, prima di trasferirsi a San Clemente di Romagna – si è concesso il lusso di siglare la prima pole position e poi di fare il suo esordio sul podio (2° in gara) nella classe minore del Motomondiale, la Moto3. Roba da stropicciarsi gli occhi, ma in linea con le ottime prestazioni collezionate in questo primo scorcio di stagione dal giovane alfiere dello Sky Racing Team VR46, visto che Nicolò ha lasciato la Spagna in quarta posizione nella classifica del Mondiale. Tradotto: il sospetto è che il fenomeno del momento sia in realtà un fenomeno tout court, uno dei piloti ai quali il motociclismo tricolore affiderà il suo futuro nel dopo-Valentino.

Nicolò Bulega il giorno dopo: come ricorderai il week-end appena trascorso?

«E’ stato il più bello della mia vita. Se penso poi che questi risultati sono arrivati negli stessi giorni in cui Valentino Rossi ha fatto pole e vittoria nella Motogp...».

Pole position o podio: quale il momento più emozionante del week-end?

«Il podio, ovviamente. Anche per come è maturato, con quelle frenate nell’ultimo giro che mi hanno permesso di superare in un paio d’occasioni i due rivali per il secondo posto».

Il tuo ultimo giro non è materiale consigliabile per deboli di cuore. L’hai rivisto in televisione?

«Sì, giusto cinque minuti fa. In effetti è molto bello, ma in moto vi garantisco che è stato molto più bello da vivere…».

Raccontacelo.

«Ho forzato il sorpasso alla curva 6 (la Dry Sack, quella del famoso contatto Schumacher-Villeneuve che decise il Mondiale F1 ’97, ndr), perché così avrei potuto controllare i miei rivali Navarro e Bagnania nelle due curve successive, dove loro andavano più forte. Ma poi, alla cueva 11, Navarro ha infilato in modo deciso Bagnaia, che si è allargato e mi ha mandato all’esterno. Sono finito sul cordolo, non potete capire quanto vicino alla terra: a 180 km/h non è bello, ve l’assicuro: ho corso davvero un bel rischio, ma ho perso solo pochi metri che ho recuperato negli ultimi due curvoni veloci a destra. E all’ultima curva, il tornantino a sinistra, mi sono buttato dentro. Mi sono detto che se fossi caduto non avrei avuto niente da perdere perché sono un esordiente e ci ho provato. Ma è andata bene, ho passato Navarro e Bagnaia senza rischi né contatti ed è arrivato il secondo posto. Che gioia!»

Che voto daresti alla tua gara?

«Nove».

Sotto quali aspetti pensi di dover migliorare, come pilota?

«Sono molto alto e credo di fare troppi movimenti inutili, in sella. Devo imparare a fare solo quelli necessari. E poi, il peso nella Moto3 è un tallone d’Achille alla partenza. Ma a Jerez sono partito bene, perdendo una sola posizione, sfruttando un consiglio che mi ha dato Valentino prima del via: quello di fare come faceva lui, ovvero darsi una spinta con le gambe. Ha funzionato…».

Dove vuoi arrivare da grande?

«Ho lo stesso obiettivo di ogni pilota: essere protagonista con una moto ed una squadra ufficiali nella classe regina del Motomondiale, la Motogp».

Hai appena citato Valentino Rossi: un tempo il tuo beniamino, ora in pratica il tuo maestro e datore di lavoro. Cosa ti ha detto nei giorni di Jerez e che rapporto hai con lui?

«Domenica mi ha definito concreto per come ho saputo staccare la pole e, soprattutto, conquistare il podio con quel finale deciso ma pulito, senza contatti. Lui, per me, è un fratello maggiore: un campione, ma anche una gran brava persona. Ci vediamo quasi tutti i giorni, stare con lui è molto importante. E dire che il primo giorno di scuola avevo uno zaino con la sua foto...».

Nella tua crescita sportiva sono molto importanti i tuoi genitori, papà Davide e mamma Nathalie.

«Domenica erano le persone più felici al mondo: questo podio lo sognavano loro più di me, probabilmente, sin da quando guardavamo le gare in TV… Mi hanno aiutato, sono sempre stati presenti alle mie gare. Con loro ho un rapporto molto stretto. Come vivono le gare? Mamma urla come se fossi allo stadio, papà potrebbe svenire da un momento all’altro (è accaduto in passato, ndr)».

Per un pilota di neanche 17 anni, cos’è la paura?

«Una cosa alla quale non pensi quando sei in moto: dopo che ho abbassato la visiera, mi diverto e basta».

Da otto anni vivi in Romagna, ma sei reggiano doc. Che legami restano con Taneto e la nostra provincia?

«Ho legami solidi, visto che lì ho ancora la mia famiglia di origine e tanti amici d’infanzia, a partire da Giovanni Lodesani. E con loro sono sempre in contatto, nei fine settimana di gara ci scriviamo di continuo…».

Come ti descriveresti in pochi aggettivi?

«Dipende dove sono. In pista, sono determinato e serio, perché sono cosciente che le gare potranno essere il mio lavoro. A casa mi considero amante della compagnia e scherzoso».

Cosa fai quando non sei impegnato come pilota?

«Frequento una scuola privata, mi alleno molto, giro in moto nella pista privata sterrata di Valentino Rossi (il famoso ‘ranch’, ndr), ma amo andare al cinema, mangiare al ristorante – ora ho la mania del sushi, ma i cappelletti in brodo di mia madre restano imbattibili – o uscire con gli amici al bar, a giocare a biliardo o al biliardino».

Hai la ragazza?

«Sì, è di Genova. Ma il nome resta top-secret».

Se non fossi pilota, cosa faresti?

«Bella domanda: non lo so, comunque di sicuro qualcosa legato al motociclismo. Magari adesso potrei essere un meccanico ma, a fine carriera, forse avrò voglia di fare il team manager».

Un tempo non avevi un soprannome, ora ti chiamano Bulegas.

«L’abbiamo pensato io e mio padre quando cercavamo un nomignolo da mettere sul ‘culo’ della tuta…».