L’uomo che aiutò Gimondi a trionfare al Tour

Pietro Partesotti, uno dei suoi gregari preferiti: "Nel ’65, ci impose di non far andare in fuga nessuno prima delle salite. Al resto pensò lui"

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Il Tour, la corsa a tappe più bella del mondo, che si prepara a puntare verso Parigi dove vivrà, come sempre nella sua storia, il più classico dei gran finale: l’arrivo agli Champs Élyséès.

Un evento dove s’incrociano imprese epiche, sogni di gloria, storie. E una di queste storie conduce a Reggio, a Pietro Partesotti, 79enne che nel ‘65 ha corso la Grand Boucle con la Salvarani. All’epoca 23enne, ha accompagnato Felice Gimondi verso la vittoria. Un’impresa memorabile.

"Il Tour dà sempre emozioni, oggi come allora è uno spettacolo, riserva infinite sorprese tra montagne, volate e pianure", commenta l’ex ciclista, che segue la corsa in tv. "All’epoca c’erano frazioni più lunghe,interminabili, tormentate dal caldo. Una volta per il tappone ci siamo alzati alle cinque per fare colazione e la giornata sembrava non finire più, che fatica".

Già, il Tour. Dove Pietro Partesotti ha visto un giovane ciclista silenzioso trasformarsi in campione. O chissà, forse il destino di Gimondi era già tracciato dagli astri della bici. Comunque sia, Partesotti e l’asso di Sedrina hanno corso insieme per tre anni. "La Salvarani aveva appena vinto il Giro con Adorni, che era il capitano e mi aveva voluto in squadra. Felice si era piazzato terzo. Un grande successo per la formazione del d.s. Pezzi. Io e Gimondi avremmo dovuto rifiatare in previsione della Vuelta di Spagna, all’ultimo momento ci hanno chiamato. Dovevamo partire perché c’erano state alcune defezioni, la squadra aveva bisogno di noi".

La vita di Felice incomincia a tingersi di giallo: quello della maglia del padrone del Tour. "In realtà avrei dovuto fare da gregario a Vittorio, però è successo un imprevisto", svela Partesotti. "Nel viaggio in treno Vittorio è stato male, forse per qualcosa che aveva mangiato. E il giorno dopo ne ha subito le conseguenze in corsa. E’ stato costretto a temporeggiare per parecchi minuti per vedere se riusciva a riprendersi. Mentre Gimondi era in avanscoperta, abbiamo rallentato in cinque per aiutarlo, non c’è stato nulla da fare, si è dovuto fermare. Abbiamo rischiato di finire fuori tempo massimo. Abbiamo pedalato al massimo, siamo rientrati. E dopo Felice ha indossato la maglia gialla".

Da quel giorno tra Gimondi e Poulidor è una continua partita a scacchi, fatta di attacchi, finte, agguati, risposte a colpi di pedale. Felice ha la meglio sull’idolo locale, vince il Tour a 22 anni. Il trofeo viene alzato anche grazie all’impegno profuso dal generoso ciclista reggiano, che non si è mai risparmiato. Del resto, nell’ambiente, gli sono sempre state riconosciute le doti di generosità e la lealtà. "Felice ra un giovane corridore, taciturno, ma che stava bene in compagnia. Aveva un carattere deciso, sicuro. Nel Tour del ‘65 disse a me e agli altri che avrebbe voluto arrivare alla salita decisiva senza nessuno in fuga e a questo dovevamo pensare noi gregari, perché lui avrebbe pensato al resto. E’ andata proprio così, noi abbiamo fatto la nostra parte e Gimondi al momento giusto ha scoccato il colpo decisivo. Si è dimostrato un capitano esigente, ma giusto. I francesi tifavano per i loro beniamini, però apprezzavano Felice. Davanti all’albergo c’era la fila per avere una sua foto o l’autografo".

Con Partesotti e Gimondi, i dolci ricordi di un Tour vittorioso si materializzano nelle vie di Reggio avvolta dalla calura, mentre da una finestra arriva la voce di un cronista che commenta le concitate fasi della Grand Boucle. Sono le magie del ciclismo, disciplina che ha saputo colpire l’immaginario degli sportivi come poche altre.

Massimo Tassi