"Mai giocato, ma la promozione la sento mia"

Il reggiano Stefano Pellizzari: "Ho pianto di gioia. Per Alvini sono tutti uguali, titolari e riserve. Il mister ha costruito il mondo delle favole" .

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di Andrea Russo

Stefano Pellizzari, che emozione è la Serie B da reggiano?

"Al triplice fischio sono scoppiato a piangere come un bambino, pensando anche alla mia storia. Quest’anno ho passato due settimane con la testa sotto terra, dopo la “cavolata” che ho fatto in Reggiana-Ravenna. Poi la chiamata granata e la promozione in Serie B. Insomma, una favola per me".

Togliamoci subito il dente: durante quella partita, da squalificato, assistette alla partita dalla curva sud granata e postò delle foto su Instagram: un gesto che portò al suo allontanamento dal Ravenna. Come visse quei giorni?

"Non tutti i mali vengono per nuocere (sorride, ndr). Dopo la partita, andai a Ravenna a scusarmi con i compagni e mister Luciano Foschi. Mi dissero che capivano che era stata una “ragazzata” e mi stettero vicino, ma la situazione oramai era fuori controllo. Mi ritrovai senza squadra, forse sarei dovuto scendere in Serie D per trovare contratto...".

E invece arrivò la Reggiana.

"Ero in autostrada e mi telefonò il mio agente Francesco Romano. ’C’è una squadra vicino a casa che ti vuole’ mi disse. Pensai a una delle realtà che lottavano per salvarsi. Quando mi rivelò che era la Regia, scoppia a ridere dalla felicità. In quei giorni ero a pezzi, quella chiamata mi cambiò l’esistenza".

Nel dopo-finale è stato l’anima della festa.

"Dopo aver pianto insieme a Rossi, ho abbracciato Paolo (Rozzio ndr) che festeggiava il compleanno. Alla vigilia pensavo al fatto che, con un successo, avremmo fatto impazzire tutta Reggio. Ora incornicerò maglia e medaglia. Se solo l’avessi, le metterei in cassaforte".

Non è però riuscito a debuttare.

"Sognavo l’esordio sotto la curva sud. Qualche partita in Serie C l’ho fatta in carriera, eppure quando mi scaldavo sotto i nostri tifosi era un’emozione forte. Peccato non aver mai giocato davanti alla mia famiglia e agli amici al Giglio...".

Rozzio di lei ha detto: ’un ragazzo positivo. Sapeva che c’erano gerarchie ma ha sempre dato il massimo in allenamento. Fondamentale per l’amalgama di gruppo’.

"Lo ringrazio molto. Arrivai in punta di piedi, sapendo di entrare a far parte della difesa più forte d’Italia, e ho cercato di portare una mentalità che ho imparato nelle giovanili granata: dare sempre tutto, indipendentemente dal tuo ruolo in squadra. Quando dai il massimo, questo fa la differenza agli occhi degli altri. Volevo trasmettere proprio questo di me, e l’ho fatto con grande energia".

L’impatto con Alvini?

"’Se non sei positivo, puoi anche andare a casa’, mi disse davanti a tutti nel primo allenamento. Mi spiegò che arrivavo in un gruppo di uomini veri, che mi sarei dovuto far trovare pronto quando chiamato in causa. Sul piano tecnico mi diceva ’devi migliorare palla al piede. Stai sul pezzo’. Certi allenatori non considerano chi gioca meno. Per il mister, invece, eravamo tutti uguali. Ho notato subito come tutti lo seguissero. Era il mondo delle favole. Ho pensato ’qui si sale in Serie B’...".

Come iniziò il suo percorso granata da bambino?

"Giocavo nella Sammartinese quando feci due provini con Reggiana e Modena. Avevo 9 anni e i canarini erano in B, quindi dissi in famiglia ’voglio andare al Modena’, ma mio fratello replicò ’non fare scherzi, ho amici tifosi. Vai alla Regia’. Così sono entrato nel vivaio granata, dove ho trascorso cinque anni, fra cui una stagione dove con i ‘97 vincemmo tutto. Il mister era Bocelli e in squadra c’erano Mastour, Udoh e Minelli".

E fece anche il raccattapalle...

"Di quegli anni ricordo Mei. Era enorme! Poi Alessi e Zanetti, ma non chiesi mai la maglia a qualcuno. Ero troppo timido. La prima da tifoso al Giglio? Col Montevarchi nel 2005. Debuttò un 18enne, un certo Andrea Catellani (ride ndr)".

Il suo idolo chi era?

"Nesta all’inizio, poi Barzagli. Alla Juve, quando mi allenavo con la prima squadra, osservando come lavorava, mi rispecchiavo in lui".

Che ricordi ha delle giovanili bianconere?

"Quando mi allenai per la prima volta con la prima squadra, dimenticai come si gioca a calcio (ride, ndr). Oggi vivrei quell’opportunità diversamente sul piano emotivo...Allora pensavo ’oddio, oggi gioco con loro’ e non capivo, invece, che era un’occasione per farmi notare dal mister. Nel 2014, quando l’allenatore era Allegri, Chiellini prendeva da parte noi giovani a fine allenamento per fare esercizi insieme a lui. A Torino ho imparato l’etica del lavoro, nel calcio e nella vita".

Ha già parlato con la Reggiana per la prossima stagione?

"Il direttore Tosi mi ha chiamato, spiegandomi che ci sono regole da rispettare in Serie B e che perciò sarà difficile che io resti. Mi ha riempito di complimenti e per questo lo ringrazio. Resto comunque al settimo cielo per aver portato la Regia in B. Mi aspettavo di non restare ma logicamente mi dispiace... Ora vorrei fare un campionato da protagonista in C, e poi magari ci ritroveremo in futuro con la Regia, magari ancora più in alto...">.

Sui suoi social spicca il motto ’grazie agli dei amigo’. Di che si tratta?

"Era una frase che diceva sempre a Torino il motivatore di Bonucci (sorride ndr). A noi giovani faceva sorridere, ma la prendevamo comunque sul serio, nel senso di credere nel destino. Beh, io quest’anno, se ci si pensa, proprio quando ero senza squadra, sono tornato a Reggio e ho conquistato la promozione...".

Una dedica per la B?

"Alla mia famiglia, ed in particolare ai miei nonni che non ci sono più...".