Reggio Emilia, 12 giugno 2010. «Adesso chi glielo dice?» Vanno via dall’aula alla spicciolata, gli amici di Pino La Monica col fazzoletto azzurro al collo, e uno scendendo le scale si pone l’imbarazzante domanda a voce alta.

Già. Adesso chi glielo dice, all’educatore-attore di teatro, che lo hanno giudicato colpevole condannandolo a nove anni e nove mesi per pedofilia? Il giudice Renato Poschi ha appena letto la sentenza: nove anni e nove mesi, interdizione dai pubblici uffici, interdizione dall’insegnamento nelle scuole, 90 mila euro complessive di provvisionale alle tre parti civili, più 9.500 di spese legali a testa.

Sentenza non definitiva, certo, e Pino La Monica - che gode del gratuito patrocinio - resta libero, teoricamente può anche continuare a insegnare teatro ai bambini; ma per i simpatizzanti del comitato «Insieme per Pino» il colpo è durissimo.

L’imputato è già lontano dal tribunale: il suo avvocato, Tullio Virgili, l’aveva visto emotivamente provato, nella stressante attesa del responso della corte, e gli aveva consigliato di evitare quella ulteriore prova. E così adesso a Pino la devono portare gli amici, la notizia della condanna.

Un’altra simpatizzante cerca di portare consolazione: «Si fa ricorso, prendo la liquidazione e gli pago l’avvocato migliore che c’è». Ma non è più questione di avvocati: ne ha cambiati quattro, in due anni, ha scelto di arrivare al dibattimento quando poteva chiudere la partita subito e cavarsela con una pena lieve grazie alla riduzione del «rito abbreviato»: ha voluto andare fino in fondo continuando a dirsi innocente e adesso la pena è totale, senza sconti.
 

Termina così, alle sei del pomeriggio, la prima drammatica puntata del processo all’uomo di teatro che per anni ha portato in giro per la provincia le sue teorie e tecniche piene di giochi, narrazioni, danze, movimento, insegnandole a centinaia di bambini e bambine con il sostegno di comuni, parrocchie, scuole.

Si era fatto un buon nome nel mondo della cultura reggiana, aveva acquisito ulteriore fama andando a piedi da Reggio fino a Santiago di Compostela. E quando esplose il caso, due anni fa, fu uno tsunami: nove ragazzine, in incidente probatorio, dissero di aver subito da Pino attenzioni a sfondo sessuale. Una di loro, all’epoca dei fatti, aveva nove anni. Ed è stato questo il fattore che ha più contato, con ogni probabilità, nella valutazione del tribunale.

C’era un’altra accusa: aver detenuto materiale pedo-pornografico e pure questo deve aver pesato. Una sorta di ciliegina sulla torta. Ci sarà certamente il ricorso in appello, e poi in Cassazione. Pino La Monica, 36 anni, ha già scontato quasi un anno tra carcere (circa un mese dietro le sbarre) e arresti domiciliari. Il difensore, nel cortile del tribunale, ora esprime amarezza: «Sono rimasto sorpreso dalla severità eccessiva della sentenza, anche quando si ritenesse tutto fondato». Nove anni e nove mesi, pena da omicidio.

«Forse qualcuno per omicidio ha preso anche meno - risponde l’avvocato Virgili - quella pena l’ho vista dare per cose indicibili, per riti satanici». E assicura che «fino all’ultimo Pino La Monica non si aspettava assoltamente una condanna. Mi ha colpito l’assoluta convinzione che alla fine la giustizia trionferà e tutto verrà chiarito».
 

Gli amici di Pino sono in una sala d’attesa vicino all’ingresso del palazzo di giustizia. Tutti attorno alla sorella minore colta da lieve malore poco dopo la lettura della sentenza. Si sentono singhiozzi, una sola frase gridata.

Accanto c’è la sorella maggiore Elena, che nel corso dell’inchiesta si è battuta come una leonessa sui media e sul blog del comitato a sostegno del fratello. Era ansiosa ma fiduciosa e ancora combattiva, in mattinata, e lo si era capito da una frecciata che le era sfuggita durante la requisitoria del pubblico ministero.

Gli amici e i parenti di La Monica dovevano star fuori, al pari dei cronisti, perchè il processo si svolgeva a porte chiuse. Dai vetri si poteva osservare lo schermo - piazzato proprio alla destra dell’imputato, quasi sulla sua testa - con proiettate varie diapositive di schemi illustrativi e immagini.

Ne è comparsa una, mostrava i pantaloni della tuta di Pino, avevano una tasca bucata e secondo l’accusa non era bucata per caso. Elena La Monica ha visto quella diapositiva sul telone e ha commentato: «Meraviglioso che son saltati fuori i pantaloni. Quand’è che facciamo uno spettacolo teatrale su questo?» Ora che c’è questa sentenza però, al sarcasmo si sostituisce la sofferenza. Il volto della sorella è bianco, tiratissimo. Ci dev’essere desiderio di rivalsa.
 

Escono dal tribunale anche i genitori di alcune bambine, quelli che si sono costituiti parte civile. Uno viene preso da commozione, sono lacrime di liberazione: «Non è stato fatto per i soldi - dice - quei soldi, trentamila euro a famiglia, non li voglio neanche per scherzo. Ma la denuncia la rifarei tre volte. Se ti succede, falla! Se tu taci vanno avanti».