Reggio Emilia, 24 giugno 2013 - «Non può la bella Reggio lasciar morire così i suoi cittadini». Termini misurati. Macigni, in realtà. Parlano di protesta silenziosa, i pensionati della Cisl; di dignità. Di fronte a un suicidio per sfratto che ha sconvolto tutti, nel profondo, in quella che un tempo veniva definita la ‘città delle persone’. Ieri, forse. Oggi, invece, ci troviamo di fronte a un sistema sotto processo, sotto un fuoco di fila di prese di posizione e di critiche. La politica risponde che provvederà. Ma davvero si doveva arrivare a una assurda tragedia prima di intervenire? Non c’erano forse già i segnali, gli indicatori sociali (come amano definirli gli addetti ai lavori)? Non bastava guardare i numeri della Caritas, le file davanti alle mense, i pensionati reggiani che frugano nell’immondizia pur di mettere qualcosa sotto i denti?

Ora, in una lettera che trasuda condivisibile rabbia e commozione, i pensionati Cisl chiedono al sindaco Luca Vecchi e al prefetto di convocare un tavolo per confrontarsi su un «problema che tocca tutti in prima persona». E il loro invito, spiazzante in semplicità, è quello di «essere pronti a cogliere i sintomi del malessere nel vicino di casa, del compagno di lavoro o del semplice amico». E di farlo assieme. Problemi che vedono ogni giorno ai loro sportelli. La crisi, anche a Reggio colpisce le persone sole, gli anziani, le donne». E il suicidio per sfratto «è il dramma di una società che deve fermarsi e provare a prevenire il fenomeno». Diversi attori dovrebbero scendere in campo secondo il sindacato. Chiedono «al sistema politico e ai parlamentari reggiani se, davvero, la prima casa possa essere pignorabile per saldare i debiti o, piuttosto, sia un bene di prima necessità impignorabile per chi vive in condizioni di povertà».

Poi si rivolge ai Comuni, Luciano Semper, segretario Fnp Cisl, «perché siano definite le priorità e potenziati gli strumenti (servizi, alloggi ponte, edilizia popolare); per fornire con più incisività gli elementi fondamentali (casa, viveri, bollette) a chi non riesce più averli». Chiede di «tagliare ogni spreco, il superfluo». E lancia un «invito pressante al sistema bancario, perché devolva parte dei propri utili alle persone in difficoltà, attivando su base provinciale un fondo per sanare le prime piccole posizioni presso i creditori: il prefetto potrebbe esserne garante», suggerisce. Infine «lo stesso mondo finanziario reggiano potrebbe dare corpo a un fondo immobili dove, quelli al momento inutilizzati, possano rialloggiare gli sfrattati, in cambio di affitto a modico prezzo».

Ma il quadro, oggi, è sconsolante. Soprattutto per chi in mezzo alle richieste di bisogno, ci vive ormai da vent’anni. Come Teresa Manelli, 48 anni, responsabile del Centro di ascolto diocesano della Caritas. «Lo ripetiamo ormai da tempo. Chi perde la casa oggi sono le persone normali, il ceto medio che arriva a scivolare nella povertà, dopo la perdita del lavoro. Lo vediamo anche nelle richieste alla mensa: oggi ci sono tantissimi reggiani. Persone che non possono più farsi da mangiare perché hanno le utenze staccate. Vivono in stato di grande povertà, mangiando anche cose trovate qua e là, spesso nei cassonetti. Perdere la propria abitazione spesso significa perdere i propri affetti e la dignità. E come il signore che si è tolto la vita ce ne sono tanti». E la politica che responsabilità può avere in questo momento? «In questo momento di nuove forze — conclude Manelli — bisognerà fare scelte importanti, mettendo al centro le vere priorità».

Benedetta Salsi