Reggio Emilia, 16 febbraio 2014 - IN PRINCIPIO era uno dei ragazzi del muretto di San Pellegrino, storica parrocchia di strettissimo rito dossettiano della periferia di Reggio Emilia, dove Graziano Delrio, classe 1960, si chiamava ancora Cido, giocava a calcio nel campetto dietro l’oratorio e sfidava l’educazione dei genitori comunisti seguendo la vocazione del cattolicesimo democratico (ovvero di sinistra). Il nuovo Gianni Letta dell’epoca renziana è tutto tranne l’originale, l’opposto del Letta zio. Lontano dai salotti, più abituato ai ginocchi sbucciati e agli oratori. E tuttavia capace di strappi e mediazioni, cazzotti e guanti felpati, a seconda degli obiettivi.

IL PAPÀ, piccolo imprenditore edile, ci teneva che studiasse. Liceo scientifico «Aldo Moro», sempre a Reggio Emilia, poi la facoltà di medicina e gli studi di specializzazione in endocrinologia a Gerusalemme e in Gran Bretagna. Nel frattempo, tanto calcio e tanti figli. Cido porta all’altare la fidanzata del cuore a 22 anni. Studia e gioca a pallone. Pare lo volesse il Milan, che beffa per lui che è di fede interista. Resta a Reggio, però. Milita nel Montecavolo, squadra di dilettanti ma di grandi ambizioni. A 44 anni, quando diventa sindaco di Reggio Emilia, lui e la moglie hanno già nove figli. Una comunità, con regole da campeggio parrocchiale. «Io e mia moglie e i più piccoli ci svegliamo alle 6,30, i più grandi, più tardi, qualcuno un po’ troppo tardi». La convivenza richiede regole ferree, ci sono persino i turni a rassettare la tavola dopo pranzo. Famiglia-comunità, casa a schiera, il fido labrador color miele (si chiama Lapo, la risposta renziana a Dudù). Ed economie, perché a crescere una truppa del genere altro che spending rewiev. «Tanti figli? Mah, le difficoltà sono solo di ordine economico. E d’altronde sono le stesse difficoltà per chi ha due figli», confessava Delrio nel 2005 raccontando a Qn la routine di una famiglia numerosa. Sarà stata poi la gestione di una famiglia che pare un mezzo esecutivo, sarà l’aria della parrocchia di don Giuseppe Dossetti junior (erede del famoso senior che scrisse la Costituzione e fu il padre nobile del crsitianesimo sociale), ma alla fine la politica prende il posto dell’endocrinologia. Così il ricercatore dell’Università di Reggio e Modena cambia vita.

NIENTE Dc però nel passato di Delrio, il debutto è con il Partito popolare di Martinazzoli. Consigliere regionale. Poi consigliere comunale e leader della Margherita reggiana. Nel 2004, primo sindaco non comunista dal dopoguerra nella città più rossa (e pragmatica) d’Italia. Da sindaco, alti e bassi come capita ai primi cittadini. Cattolico, va a testa bassa nel Pd.
D’altronde, appena eletto alla guida del Comune confessa l’ambizione di riscrivere una versione riveduta di Peppone e don Camillo: «Vorrei essere un mix fra i sindaci socialdemocratici scandinavi e La Pira». Prodiano di ferro, pianta un ulivo in giardino per festeggiare l’armata del professore. Per anni tiene un profilo locale. Poi diventa l’artefice — anche spregiudicato — della nascita di Iren, la multiutility che unisce Emilia, Genova e Torino. Sceglie Chiamparino invece di fondere la società domestica con la bolognese Hera sapendo di fare un affronto al governatore Vasco Errani. L’affronto gli fa perdere la fetta bersaniana del Pd. Il balzo alla presidenza nazionale dell’Anci è la fotografia della rottura: guarda caso si oppongono a Delrio Vendola e D’Alema che sponsorizzano il pugliese Emiliano. Lui vince, incassando i voti anche dei sindaci di centrodestra.

INFINE l’incontro con Renzi. «Se vinco le primarie Delrio sarà ministro di sicuro», promette Matteo. Poi però vince Bersani e Delrio rispunta al governo solo perché si è rovesciato il mondo. D’altronde, Delrio, il cattolico più a sinistra dei vecchi Ds, aveva promesso: mai con Berlusconi. Peccato veniale. Si dice che Renzi nei momenti cruciali si affidi solo a lui. Un fratellone maggiore, meno guascone, ma più regista. Maglia numero 10, per stare nel campo da calcio. Il regista senza il quale l’attaccante non segna.

Davide Nitrosi