Reggio Emilia, 12 marzo 2012 - Lui, la faccia d’angelo, non ce l’ha. Interpreta il male. Gli presta il corpo, la voce, il suo accento; capace di modularsi fra il dialetto della Bassa e quello veneto.
Andrea Gherpelli, 37 anni, da Prato di Correggio, da stasera per tutti — a partire dalle 21,10 (su Sky Cinema) — sarà il Moro: l’amico d’infanzia e il «braccio» della Mala del Brenta.
Si chiama proprio così, Faccia d’angelo, la miniserie in due puntate (nella colonna sonora anche due brani originali degli After Hours), liberamente ispirata alla vita del boss Felice Maniero, interpretato da Elio Germano. Ladruncoli di provincia che tra gli anni Settanta e Novanta conquistarono il controllo delle attività illecite del Veneto. E lui, Gherpelli, è uno dei protagonisti, combattuto fra la sete di potere e l’educazione cattolica.
Ci parli della banda.
«Intorno a Faccia d’Angelo ci sono 4-5 elementi. Io sono el Moro, de Padoa».
Dizione perfetta, molto credibile.
«Grazie. (Sorride, ndr). Hanno tutti una storia comune, cresciuti insieme, un po’ il percorso che ho avuto io da ragazzino».
Anche lei ha la campagna nel sangue?
«Mi sono formato in un paesino di mille abitanti, dove c’erano più bestie che esseri umani. Lì si creano amicizie molto forti, ci si unisce giocando nei campi. Legami che hanno a che fare con la terra. La stessa cosa era successa a questi ragazzi. Il Triveneto al tempo era così. Una zona lagunare e paludosa, difficile perché non c’era lavoro».
Nel frattempo, la rinascita industriale.
«Due realtà agli antipodi: piccoli centri dispersi intorno al Brenta e aristocratici ignoranti e arricchiti. Tutto monta lì in mezzo».
Il suo, di personaggi, è sempre in bilico fra la malavita e la fede.
«Tu sei la mia vita, altro io non ho... »
Bravo anche a cantare. È l’inno religioso, vero?
«È la dedica al denaro e al potere che la Mala del Brenta aveva preso ‘a prestito’ dalla chiesa. E il Moro è l’elemento del gruppo che ha la formazione cattolica più forte. Si rivolge direttamente a Cristo: fasemo un pato mi e ti: tu mi hai donato la forza per recuperare un saco di schei per aiutare la poera gente. Una sfida anche per me, come attore».
A che cosa si è ispirato?
«Alla vita reale. Quando arrestano i boss della mafia, li trovano sempre con crocefissi, Bibbia, rosari. È un’incongruenza che ho sempre notato. Il momento della preghiera rivolta a Dio è stato uno dei più alti della mia carriera. E penso sia anche il punto centrale della mia interpretazione».
Le polemiche, anche in questa occasione, si sono sprecate. C’è chi dice che in queste ricostruzioni ci sia il rischio di dipingere i criminali come rock star. Possibile?
«Il protagonista è ispirato a Felice Maniero. Ma non si tratta di un documentario. C’era solo l’intenzione di raccontare la voglia di rivalsa di un gruppo di ragazzi. Le parabole di questi personaggi non spingono all’emulazione. Ci sono due puntate. Nella prima c’è l’ascesa. Nella seconda si vedono i contro. E la domanda è sempre quella: ma ne è valsa la pena?»
Lei, con una laurea da ingegnere in tasca ha mollato tutto per fare l’attore. Gherpelli, ne è valsa la pena?
«Il mio mestiere? Sì, ne vale la pena. Se è quello che continua a darti sorriso, come un grande innamoramento. E mi permette di guardare al futuro con ottimismo».
 

di Benedetta Salsi