Rimini, 31 luglio 2011 - DOPO l’arresto di Lucio Amati, da venerdì rinchiuso nel carcere dei Casetti con l’accusa di riciclaggio, ieri mattina a finire in cella è stato Sandro Sapignoli, 47 anni, sammarinese di Borgo Maggiore, vice direttore e responsabile dell’antiriciclaggio per il Credito Sammarininese, la banca del Titano finita nella bufera perchè diventata cassaforte della cosca Mancuso. Sapignoli, destinatario anche in Italia di un’ordinanza di custodia cautelare, era stato convocato ieri mattina dal Commissario della Legge, Rita Vannucci, che insieme ai magistrati della Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Catanzaro sta conducendo l’inchiesta ‘Decollo money’.

Un appuntamento sembra già fissato, ma nel corso dell’interrogatorio, le cose per Sapignoli si sono messe talmente male che il magistrato ha fatto scattare un mandato d’arresto, spedendolo ai ‘Cappuccini’, la casa circondariale del Titano. Nel colloquio con la Vannucci, Sapignoli avrebbe infatti raccontato tutt’altra storia, smentendo non solo la ricostruzione fatta dalle due magistrature sull’origine e il viaggio di quel milione e 300mila euro arrivati in Repubblica, ma anche quelle dei testimoni. Testi più che attendibili, perchè si tratta degli impiegati dell’Istituto di credito.

Due in particolare che hanno protestato a gran voce quando hanno scoperto che il conto corrente che stavano per aprire, sarebbe stato intestato a un delinquente del calibro di Vincenzo Barbieri, uomo di spicco della cosca, poi morto ammazzato in provincia di Vibo Valentia, pochi mesi dopo l’inizio delle operazioni che avrebbero dovuto far transitare nelle casse del Credito la bellezza di 15 milioni di euro. Una cifra astronomica che nei piani della ’ndrangheta sarebbe dovuta servire a comprarsi la banca. Nonostante l’Istituto sia commissariato e gli sportelli chiusi, gli impiegati ancora lavorano e lo stesso Sapignoli continuava fino a ieri a ricoprire lo stesso incarico. Diventato palesamente incompatibile, visti gli sviluppi dell’indagine che lo vedrebbero tra i protagonisti del ‘transito’ di quei quattrini. Soldi che sarebbero dovuti servire a risollevare il Credito dalla crisi di liquidità in cui si trovata. Avendo necessità di «provviste», non si sono quindi fatti scrupoli ad accettare i soldi della criminalità organizzata.

NON tutti però la pensavano allo stesso modo. Secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, nel dicembre del 2010, quando arriva la prima trance dei soldi, quasi 600mila euro, una delle impiegate viene convocata nell’ufficio di Sapignoli che gli ordina di aprire un conto corrente con urgenza, quello di Barbieri, appunto. Ma quando lei procede alla cosiddetta fase istruttoria del conto, scopre che il soggetto in questione è collegato alla ’ndrangheta. La donna si rivolge a Sapignoli, spiegandogli quello che ha scoperto, ma lui minimizza, parla di vecchi precedenti e le ordina di andare avanti. Così lei si rivolge a un altro collega, il quale meno diplomaticamente va dritto dal responsabile antiriciclaggio a protestare.

 Non vuole essere coinvolto, e urla al punto che interviene lo stesso direttore, Valter Vendemini, che sarà poi il primo ad essere arrestato. Vendemini spiega che il cliente in questione è un suo ‘contatto personale’, e che nel caso dovesse accadere qualcosa lui sarà l’unico responsabile. L’impiegato non è convinto, e pretende ugualmente la ratifica del Comitato esecutivo della banca, mettendo tutto nero su bianco. E sarà sempre Vendemini che il 3 gennaio del 2011, consegnerà all’impiegato in questione un borsone da palestra che conteneva il resto dei soldi, poi girati sul conto di un certo Giorgio Galiano. Il quale, si scoprirà poi, era il genero di Barbieri, coinvolto in fatti di droga e usura. Anche quei soldi, come i primi arrivati, puzzavano di muffa. Mazzette accortocciate chiuse con elastici, rimaste sepolte chissà per quanto tempo.

TRA gli arrestati ci sono anche Domenico Macrì, 65 anni, originario di Nicotera, ma residente a Città di Castello, autorevole esponente del Grande Oriente d’Italia, la più importante loggia massonica italiana, di cui è stato anche Grande Ufficiale. Lui, insieme a Barbara Gabba (in carcere), 46, originaria di Trento ma residente a Roma, in qualità di procacciatori d’affari del Credito Sammarinese avrebbero proposto a Vendemini di aprire il conto a Barbieri. Con la mediazione di due fratelli, anche questi arrestati, Salvatore e Domenico Lubiana, sempre di Nicotera, il primo avvocato, il secondo commercialista. A riprova che senza la complicità dei colletti bianchi, anche la mafia sarebbe costretta a fare un passo indietro.