Rimini, 14 agosto 2011 - Sarà pure un aspetto marginale della manovra ‘lacrime e sangue’ del governo. Ma per il sistema turistico riminese (e italiano) la cancellazione dei ponti, con l’accorpamento nella domenica delle festività non religiose previste dal Concordato, avrà delle conseguenze molto serie. Il fatto che 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno (nonché la festa del santo patrono, per Rimini San Gaudenzo) si andrà a scuola o al lavoro, senza il pagamento della festività, scatena già un mare di polemiche.

Di fatto, spariscono tutti i ponti primaverili. Quei magici incastri che in certe annate (come nel 2007) regalavano agli italiani anche una settimana di vacanza. Week end lunghi o lunghissimi che (articolo a destra) da anni aggiungono prezioso fatturato ad alberghi, parchi, bar, ristoranti e negozi. Fatturato destinato a mancare. E insieme ad esso, un vasto indotto che riguarda in primis la forza lavoro, con l’occupazione seppure per brevi periodi, di migliaia di persone. E riguarda anche le imprese fornitrici del territorio, dal beverage all’alimentare, dai servizi all’artigianato che ruota intorno al pianeta vacanza. Il governo stima che ogni festività soppressa farà risparmiare all’Italia quattro miliardi di euro in produttività.

«Già, peccato che il turismo contribuisca per un 10-12% del Pil, prodotto interno lordo nazionale: e questo non conta?», attacca Sandro Giorgetti, presidente regionale Federalberghi. «Qualcuno a Roma — rincara — forse continua a vedere il turismo come una perdita di tempo, non come un’industria importante, qual è. Se poi questo provvedimento fosse il risultato delle frizioni fra i ministri Tremonti e Brambilla, direi che non può essere il nostro settore a pagarne le conseguenze».
Giorgetti annuncia che chiederà «approfondimenti».

Si spinge più in là Patrizia Rinaldis, presidente dell’Associazione albergatori di Rimini: «Rabbrividisco alla notizia della cancellazione dei ponti — tuona —. Se si colpiscono i settori economici che funzionano, come il turismo, dove finiremo? Chiederemo di confrontarci, qui si affossa l’economia del territorio. Sono schifata». L’auspicio di Federalberghi e Aia è in qualche aggiustamento in sede di iter parlamentare. Pollice verso anche dall’assessore regionale al Turismo, Maurizio Melucci: «Si cancellano le festività non religiose per aumentare la produttività e il Pil nazionale, visto che l’industria è in crisi. Ma il beneficio sarà relativo. E non compenserà il calo di produzione che invece colpirà il turismo, che è pure un’industria, e ne sarà fortemente penalizzato. Prendo atto che il ministro del Turismo non ha detto una parola. L’Italia è un Paese il cui core businnes è il turismo, mentre i governi non l’hanno mai visto come un comparto economico».

Un pianto greco condiviso dagli operatori. «Cancellando i ponti si incentiva l’industria ma si distrugge il turismo — attacca Luca Antonioli, hotel villa Lalla —. Caleranno di un terzo gli introiti del non balneare». «Perderemo quote di mercato importanti — paventa Luca Renzi, hotel Aqua —. Resta Pasqua, e Capodanno non si sa. Speriamo nel congressuale». «Un duro colpo per il turismo e per la riviera — afferma Antonio Carasso, coordinatore Unione di prodotto costa —. Si tolgono opportunità di vacanza. La nostra riviera per i ponti era ideale: vicina, con prezzi contenuti, con spiagge accessibili. Gli alberghi torneranno a fare i 100 giorni di stagione. Ma saranno anche colpiti i lavoratori, che resteranno a casa. Insieme a bar, gelaterie, ristoranti, negozi e soprattutto i parchi, che sui ponti più o meno lunghi ci hanno sempre contato molto. Cancellando di fatto il 25 aprile e l’1 maggio, molti alberghi poi resteranno anche chiusi a Pasqua, specie se cadrà ‘bassa’, e quindi troppo isolata dall’avvio estivo della stagione».