Rimini, 6 dicembre 2012 - UN pm che chiede scusa all’imputato. Più facile che un uomo morda il cane. Eppure, da quella toga, indossata con passione dal sostituto procuratore di Rimini Paolo Gengarelli, ieri quelle scuse sono arrivate «a nome mio e dell’intera Procura». A riceverle, assieme all’assoluzione e alla richiesta di avviare un procedimento per calunnia ai danni dell’accusatore, una moglie, per anni vittima, assieme alle figlie, di un marito aguzzino.

UNA frase, detta ieri in aula dalla figlia maggiore, spiega tutto: «Bastava che una foglia cadesse, che una forchetta mancasse e correva il sangue». Da quell’inferno sono scappate dieci anni fa, ma l’aguzzino non molla, nonostante una condanna a quattro anni per maltrattamenti e a una denuncia per stalking. Le insegue, le costringe a cambiare un rifugio dopo l’altro. Fino all’assurdo giuridico: denuncia la moglie perchè gli negherebbe di incontrare le figlie davanti alle assistenti sociali (peraltro una falsità). Un collega di Gengarelli firma frettolosamente un decreto penale di condanna, cioè una sentenza senza istruttoria o dibattimento. Solo l’opposizione dell’avvocato di questa moglie in fuga riesce a portare la vicenda davanti ai giudici. E quando attacca il pubblico ministero, il colpo di scena: «Questo processo non si doveva fare. La signora deve uscire da quest’aula non a testa alta, ma altissima».

A processo finito, Gengarelli non si dà pace: «Mi sono sentito male, quasi mi vergognavo... Ho il dovere di essere onesto fino in fondo, come magistrato e come uomo. Non ho fatto nulla di straordinario, era semplicemente dovuto». Eppure così semplicemente straordinario. Qualche volta basterebbe ricordarsi che serve un cuore anche sotto la toga.
 

di Pierluigi Martelli