Rimini, accoltellò cinque persone: assolto perché incapace di intendere

Il gup ha però disposto che dovrà trascorrere i prossimi otto anni in una residenza sanitaria idonea

L'arresto di Somane Duula dopo l'accoltellamento di 5 persone a Rimini

L'arresto di Somane Duula dopo l'accoltellamento di 5 persone a Rimini

Rimini, 13 dicembre 2022 - Niente carcere per lui. Era accusato di tre tentati omicidi e di lesioni gravi. Ma Somane Duula, il giovane profugo somalo che seminò il terrore durante l’11 settembre 2021, accoltellando prima le due controllore del bus che l’avevano fermato a Miramare, e poi - durante la folle fuga - altre due donne e il piccolo Tamim, un bambino bengalese di appena 6 anni, è stato dichiarato "incapace di intendere e volere" all’epoca dei fatti.

Il giudice Raffaella Ceccarelli, in base alle perizie psichiatriche, ha deciso che il 27enne "non è imputabile" a causa dei suoi problemi mentali e l’ha assolto. Ma Duula (difeso dall’avvocato Maria Rivieccio) rimane "un individuo socialmente pericoloso" e che "può fare ancora del male".

Pertanto il giudice ha disposto che passi almeno 8 anni in una struttura psichiatrica per criminali malati di mente. Attualmente si trova nella Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) di Reggio Emilia. Al termine del periodo si faranno altri accertamenti e si deciderà sul destino del somalo, comparso ieri in aula per il processo.

Anche la seconda perizia, a cura del professor Riccardo Sabbatelli, ha confermato quanto era emerso nella prima a cura di Renato Ariatti, il perito nominato dal pm Davide Ercolani. Somane soffre di disturbo schizofrenico paranoide, ha "deliri persecutori, allucinazioni uditive e visive, pensieri disorganizzati".

Lui continua a sentire voci, a vedere cose che non esistono. Disturbicausati anche dai traumi subito quand’era in uno dei campi profughi in Libia, dov’è stato torturato e avrebbe assistito a violenze e omicidi.

Chiuso il processo ora si apre la battaglia per i risarcimenti. Esiste in Italia un fondo per le vittime di reati intenzionali di violenza, qualora i condannati non abbiano modo di risarcire i danni. Nel caso di Tamim e di due delle donne ferite da Somane (tra cui una delle due controllore) è previsto un indennizzo massimo di 60mila euro.

"Il problema – osserva Maurizio Ghinelli, il legale della famiglia di Tamim – è che in questo caso non c’è stata condanna, a causa della riconosciuta incapacità di intendere e volere dell’autore del reato". Ghinelli e gli avvocati delle altre vittime, a questo punto, hanno davanti due strade: "O facciamo comunque la richiesta di indennizzo allo Stato, oppure in base all’articolo 2047 del codice civile, chiediamo i danni ai soggetti che erano tenuti alla vigilanza di Somane".

Gli avvocati potrebbero quindi avanzare la richiesta di risarcimento a Croce rossa, che gestiva la struttura per i profughi a Riccione in cui Somane era ospitato. "Quando avremo le motivazioni della sentenza – dice Ghinelli – decideremo il da farsi. Ma la famiglia di Tamim non si vuole arrendere. Siamo pronti alla causa civile".